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EasyJet? Si fa presto a dire vola facile!

EasyJet? Si fa presto a dire vola facile!

La chiamano EasyJet. Ma non è per niente facile. Volare con la compagnia low cost arancione è diventato un gioco d’azzardo, una gara a premi, un talent show senza tv. Chi vince vola, ma chi perde paga, e paga salato. Metti per esempio il volo Milano-Londra. La tariffa è buona, se prenoti il biglietto in anticipo. Ma parti da Malpensa, e già spendi una bella cifra per raggiungere l’aeroporto che dicono sia di Milano, ma è a Varese. Il bello però è quando arrivi a Londra. Atterri in realtà a Gatwick, che da Londra dista più d’un’ora di viaggio. Il biglietto del treno – inglese, dunque costosissimo – a un padre con due bambine finisce per costare più del biglietto aereo. Forse conviene il taxi, ma comunque capisci già che il tuo viaggio Milano-Londra costa il doppio, o forse più, del tuo viaggio Malpensa-Gatwick.

Te ne fai una ragione, tanto la tua vacanzina è appena iniziata. Visiti la Capitale del Regno Unito, porti le bambine da Rain Forest e alla National Gallery (che almeno è gratis e ha meno code di Rain Forest e infinitamente meno della ruota panoramica). Passeggi sul ponte della scena finale dell’ultimo 007 e assisti al cambio della guardia a Buckingham Palace: peccato che sia inverno e le belle uniformi rosse delle guardie siano coperte da cappottoni inesorabilmente grigi, ma questo non è colpa di EasyJet. Alle bambine, poi, un palazzo reale e una regina vera, fuori dalle favole e dai film, piace comunque un sacco.

I problemi con EasyJet ricominciano quando tenti di fare il viaggio di ritorno. Sveglia all’alba. Più d’un’ora di trip dalla città a Gatwick. Qui i controlli sono severi, anzi severissimi. Siamo nel mondo in cui esiste anche l’Isis, e dunque ci sta. Ti aprono le valigie, te le disfano. Ti fanno passare e ripassare sotto i metal detector. Una bambina bionda e con gli occhi azzurri deve fare anche il body scanner. Non importa. La sicurezza è importante. Rifai le valigie, le richiudi e corri al gate. È tardi, ma comunque mancano ancora 20 minuti tondi alla partenza. Un tempo sufficiente a imbarcare una squadra di rugby. Ma non un papà con due bambine. Le signorine vestite d’arancione sono inflessibili. Il volo è chiuso. L’aereo è lì, lo vedi, è fermo, attaccato al finger, con il portellone aperto. Sono solo pochi metri, per raggiungerlo basterebbe un minuto. Ma il volo è chiuso. Non si discute.

Va bene. Ma a questo punto comincia la parte più surreale della storia. Per non restare a vita nell’aeroporto (come in quel film là), devi uscire e ricomprarti un nuovo biglietto. La polizia di frontiera britannica però non ti fa uscire: sei entrato, devi partire. Ma partire non ti fanno, benché il tuo aereo sia ancora lì, bello in vista. Vai avanti e indietro tre volte, ti sembra di essere in un libro di Kafka, finché si materializza una signorina in arancione che raduna un gruppo di disperati che come te sono stati respinti al gate e ti porta miracolosamente oltre la linea di confine, in una simpatica biglietteria EasyJet che a un prezzo carissimo ti vende i biglietti per tornare a casa.

Rifai i controlli, diventati grazie a Dio più leggeri, passi la giornata allegramente in aeroporto, in attesa del volo serale per Milano. Per non arrivare tardi al gate, stai con gli occhi incollati ai monitor. Ma i monitor dicono che il numero del gate sarà indicato solo 20 minuti prima della chiusura del volo. Intanto ti arriva un avviso dalla app EasyJet che ti avverte di essere lesto, perché a Gatwick i gate sono distanti anche 20 minuti. È una gara o un joke? Vedi una piccola folla di viaggiatori pronta sotto gli ultimi monitor prima dei gate che aspetta: come centometristi prima dello scatto. Ogni volta che un numerino appare, un gruppo parte di corsa. Quando compare il numerino per Malpensa, tocca a noi: Go! Se arrivi in tempo parti, sennò, come a Monopoli, ritorni al via e ricominci tutto da capo. Grazie, EasyJet!

Il Fatto quotidiano, 18 dicembre 2015
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