Due anni dopo, ecco che cosa resta del miracolo di Expo
Sono passati due anni dal 1 maggio 2015, quando si sono aperti i cancelli di Expo. Sulla narrazione dell’esposizione universale sono stati costruiti il mito della rinascita di Milano e il successo politico del suo commissario, Giuseppe Sala, poi diventato sindaco di Milano. Ora è possibile un bilancio meno ideologico e trionfale e più pacato. Tentiamo di farlo sulla base dei numeri oggi a disposizione.
1. Lo smantellamento. A due anni dall’inizio e 19 mesi dopo la chiusura, non sono ancora terminati neppure i lavori per smantellare i padiglioni (i lotti dovevano essere riconsegnati entro maggio 2016). Dei 53 padiglioni dei Paesi, 8 sono ancora lì. L’Ungheria non ha neppure cominciato i lavori. Smantellamento in corso per Turkmenistan, Nepal, Usa, Polonia, Barhain e Messico. Da smontare ancora lo stand Alitalia (che ora ha altro a cui pensare) e quello delle aziende private cinesi: dovrà occuparsene, con soldi suoi, Arexpo, la società che possiede le aree.
2. I contenziosi. Sono 18 gli appalti per la costruzione dell’esposizione che si sono trasformati in braccio di ferro con le aziende, che hanno chiesto più soldi per varianti ed extracosti. La Piastra è costata 225 milioni invece dei 165 aggiudicati nella gara vinta dalla Mantovani (ancora sotto indagine penale). Palazzo Italia (compreso il Cardo) ha raddoppiato il costo, da 27 a 54 milioni. La Cmc per la rimozione delle interferenze ha preteso 98 milioni invece dei 58 offerti al momento della gara. Per le vie d’acqua la Maltauro ha incassato 5 milioni in più. Per l’allestimento di Palazzo Italia la Castelli ha strappato 1 milione in più. Altri 13 dossier sono ancora aperti, con trattative con le aziende, contenziosi in corso e coinvolgimento dell’Autorità nazionale anticorruzione e dell’Avvocatura generale dello Stato.
3. Il bilancio. Expo è costato 2,4 miliardi di euro di soldi pubblici: 1,3 miliardi per la costruzione del sito e 960 milioni per la gestione dell’evento. I ricavi da biglietti e sponsorizzazioni sono stati circa 700 milioni. La società deve andare avanti, per chiudere i contenziosi e la liquidazione, fino al 2021. Mancano soldi. Almeno 23 milioni che dovranno essere versati dai soci: 9 milioni li ha messi il governo, il resto dovrà arrivare da Comune di Milano e Regione Lombardia. Ma questi sono i denari necessari per la gestione della società, a cui si devono aggiungere i soldi per i creditori non ancora pagati e per gli extracosti chiesti dalla imprese. Potrebbe aprirsi una voragine, che sarà ridotta se e quando Arexpo pagherà i 47 milioni che deve a Expo per l’infrastrutturazione dell’area.
4. Il buco. I fornitori aspettano da Expo spa pagamenti per 256 milioni (dati 2015) che oggi potrebbero essere scesi a 115 milioni. Expo, d’altra parte, non è solo debitore, ma anche creditore: sta ancora aspettando che i suoi clienti (da Alessandro Rosso ad alcune aziende cinesi) saldino le fatture per pacchetti di biglietti mai venduti ai visitatori e altre forniture. A fine 2016, i crediti considerati esigibili erano 10,4 milioni: 3,3 milioni sono stati incassati tra gennaio e marzo 2017; altri 7,1 milioni dovrebbero arrivare in questi mesi. I crediti considerati irrecuperabili sono 58,4 milioni.
La palla passerà ora al nuovo commissario unico per la liquidazione, Gianni Confalonieri, che dovrà battere cassa per far quadrare i conti. Intanto siamo in attesa che la gara avviata da Arexpo trovi uno sviluppatore in grado di trasformare il grande vuoto dell’area Expo (oltre 1 milione di metri quadrati, costati 142 milioni di euro nel 2011) in attività immobiliari e in un parco universitario, di ricerca e di produzione scientifica. Con finora un’unica certezza: il grande parco promesso di 440 mila metri quadrati non ci sarà, ma sarà spezzettato in tante aree verdi “condominiali”.