Vegas in Consob, sette anni da re distratto
Ha cominciato con Euripide (“Nulla deve essere inaspettato; si deve invece sperare ogni cosa”) e finito con Kant (“Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”). L’ultima relazione del presidente della Consob Giuseppe Vegas, che dopo sette anni lascerà la guida della Commissione che regola i mercati finanziari, ha tentato di stilare un bilancio in positivo, malgrado “la crisi dell’eurozona”, gli “squilibri dei conti pubblici”, i “crediti deteriorati nei bilanci delle banche”, la “perdita del 20 per cento” della capacità produttiva del Paese.
Ma Euripide ha parlato invano, perché le crisi su cui la Consob di Vegas avrebbe dovuto vegliare sono arrivate tutte “inaspettate”, con serragli chiusi a buoi scappati e 12 mila risparmiatori lasciati senza informazione adeguata (quelli di Banca Etruria, Marche, CariChieti, CariFerrara). Consob non fiatò quando Popolare di Vicenza varò due aumenti di capitale nel 2013-2014 a prezzi palesemente gonfiati: la multa ai vertici è arrivata solo nel 2017. Storia simile per Veneto Banca.
Quanto a Montepaschi, era l’autunno 2012 quando non due anonimi, ma il presidente Alessandro Profumo e il suo amministratore delegato Fabrizio Viola gli comunicarono di aver scoperto il buco provocato dai derivati della gestione precedente; Vegas si guardò bene dal coinvolgere i commissari Consob e informare il mercato. Poi a Profumo e Viola fu permesso – complice Bankitalia – di contabilizzare quei derivati “a saldi aperti” e l’obbligo di rendere visibile il buco è arrivato solo nel 2015 (nel frattempo ci sono stati due aumenti di capitale: 8 miliardi in fumo).
Anche Vegas ora si è accorto che le regole europee sul salvataggio delle banche (bail-in) hanno coinvolto “anche i risparmiatori-correntisti”, e con “effetto retroattivo” (“una scelta che contrasta con i principi di fondo del diritto”): norme varate “per assicurare stabilità si sono rivelate un fattore di instabilità. Alla prova dei fatti, l’idea di circoscrivere ai soli investitori di una banca i costi del salvataggio si sta mostrando illusoria”.
Consob – dice – avrebbe voluto nel 2013 vietare la vendita al pubblico retail di “prodotti finanziari opachi e complessi”, ma la sua richiesta “non ha avuto seguito”: se ne riparlerà nel 2018, quando arriverà la direttiva europea Mifid 2. Nel 2018 arriverà anche il Kid (Key Information Document) cioè informazioni chiare e sintetiche per i risparmiatori, lasciati finora in balìa di prospetti illeggibili ed enciclopedici (l’ultimo Unicredit: 1.500 pagine). Ma è tutta colpa dell’Europa, dunque? Consob non poteva finora fare proprio niente? Non è stato proprio Vegas a togliere dai prospetti gli “scenari probabilistici” che indicavano ai risparmiatori la probabilità di perdita?
Chiede più Borsa, Vegas, ma poi deve ammettere che “oggi la Borsa ha perso centralità”, tanto che tra il 2007 e il 2016 “la ricchezza detenuta in azioni” è calata dal 10,5 al 5,3 per cento. Spera che la Brexit porti più finanza a Milano e trasferisca sotto la Madonnina, da Londra, anche la sede dell’Eba, l’Autorità bancaria europea. Per ora è solo una speranza sulle ali di Euripide. Più concreta invece la prospettiva che, in permanenza di regole diverse tra i vari Stati, in Europa continui la “migrazione verso giurisdizioni che appaiono più permissive”, con l’Italia “tra le mete preferite” di fenomeni come la estero-vestizione: operazioni finanziarie fatte qui, ma soldi occultati all’estero.
Mirando il cielo stellato di Kant, Vegas si prepara a lasciare la guida della Consob a cui era arrivato con le porte girevoli, dopo aver fatto il senatore di Forza Italia: era uscito dalla stanza di viceministro del Tesoro, a fianco di Giulio Tremonti, per entrare direttamente in quella di presidente dell’Autorità. Poi l’ha governata in modo imperiale. Ha rimodellato la Commissione togliendo autonomia alla struttura tecnica (garanzia d’indipendenza), entrando in rotta di collisione con alcuni dirigenti (come Marcello Minenna, alla guida dell’ufficio Analisi quantitative) e costituendo un potente ufficio di presidenza che risponde direttamente a lui.
Ha poi accentrato le decisioni, agendo di sua iniziativa su molte partite, senza neppure portarle in Commissione per la discussione e il voto. Quando proprio in Commissione dovevano arrivare, decideva da monarca. Fu il caso dell’operazione che portò Unipol a mangiarsi Fonsai: il commissario Michele Pezzinga chiedeva – forte delle analisi tecniche di Minenna – informazioni più dettagliate sul portafoglio dei titoli strutturati della compagnia d’assicurazione delle coop; ma il secondo commissario s’astenne, il terzo non era stato nominato, e Vegas fece valere doppio il suo voto presidenziale. Rendendo possibile un’italianissima “operazione di sistema”.
In alcuni casi, esibiva il pugno di ferro: con la Sator di Matteo Arpe, per esempio, alle prese con Fonsai. In altri, guanto di velluto: con Unipol, d’intesa con Mediobanca, ma anche con Ubi, sotto indagine per la ipotizzata influenza di Giovanni Bazoli sull’assemblea dei soci.
Spesso Vegas si è mosso, più che da controllore imparziale, da consulente di coloro che doveva vigilare. L’ha confessato in un’intervista del maggio 2014, quando disse che la Commissione non deve soltanto vigilare affinché “il mercato sia trasparente” (come impone la sua legge istitutiva), ma anche “far sì che ci sia un po’ di sviluppo nel Paese”. Un compito tutto “politico” che non spetta certo alle Autorità di controllo.