Eataly, la facciata è abusiva (ma ha i permessi)
Se le regole che valgono per Oscar Farinetti valessero per tutti, a Milano ogni baretto che ha avuto il permesso di mettere quattro tavolini sul marciapiede, sotto una tenda di plastica, potrebbe costruirci attorno una struttura stabile in acciaio e cristallo. Sì, perché la grande sede milanese di Eataly in piazza XXV Aprile, ex teatro Smeraldo, ha una facciata inclinata che sporge di 3 metri e mezzo e che più stabile non si può: ma ha un permesso comunale come fosse un dehor provvisorio, ottenuto pagando al Comune soltanto una tassa di “occupazione di suolo pubblico”, come i fruttivendoli che di giorno espongono le verdure sul marciapiede davanti al loro negozio e poi la sera le ritirano.
“Dehor”: così è chiamata la nuova facciata di Eataly nei documenti comunali che il Fatto quotidiano ha potuto esaminare. Come le verande che ristoranti e bar allestiscono talvolta sui marciapiedi.
La prima richiesta di “costituire un diritto reale di godimento sull’area” all’ingresso dell’ex Smeraldo è datata 24 gennaio 2014. In tempi velocissimi, il 3 febbraio arriva il permesso di “occupazione del suolo pubblico” con “una struttura denominata dehor” larga 16 metri e mezzo, alta 7 metri e 90 e sporgente 1 metro e mezzo al suolo, 3 metri e mezzo in alto. Canone annuo: 13 mila euro. La funzionaria comunale che firma il permesso osserva che “la tipologia del dehor (…) rappresenta un progetto innovativo non contemplato nelle casistiche e nella disciplina ordinaria”. Però è stata sottoposta “all’esame e valutazione della Commissione per il Paesaggio” che “ha espresso parere favorevole”. Quindi: tutto bene.
Poi l’ammissione: “La struttura innovativa del dehor implica uno smontaggio poco agevole e di indubbia complessità tecnica”: infatti comporterebbe l’abbattimento dell’intera facciata di cristallo, alta tre piani. Ma, “nelle more del perfezionamento degli intenti”, conclude l’imbarazzato testo burocratico, “risulta necessario che lo smontaggio possa avvenire sulla base di modalità e tempistiche, coordinate a una eventuale riqualificazione del prospetto della facciata, che rendano sostenibile l’intervento”.
Un testo che meriterebbe un premio letterario. E che deve aver lasciato imbarazzato, o preoccupato, anche qualcuno dentro l’amministrazione comunale perché, nove mesi dopo, viene stilato un nuovo documento, datato 14 novembre 2014, che curiosamente calcola quanto entra al Comune dal permesso “provvisorio” concesso a Farinetti e quanto invece sarebbe entrato se gli fosse stato concesso un permanente “diritto di superficie” (che sarebbe però dovuto passare dal Consiglio comunale e sarebbe quindi diventato subito pubblico).
Dopo complessi calcoli, i funzionari comunali stabiliscono che se avesse chiesto uno stabile “diritto di superficie” per gli 83,50 metri quadrati ottenuti in più con il suo “dehor innovativo”, Farinetti avrebbe dovuto pagare 84 mila euro. Invece per la curiosa struttura che dovrebbe essere smontabile, ma che smontabile non è, ne paga 13 mila.
A questo punto, colpo di scena: compare un documento, stranamente senza data, firmato dalla funzionaria comunale dottoressa Marta Oltolini, che ricapitola tutta la questione, che evidentemente in corso d’opera dev’essere stata ritenuta più complessa e scivolosa di quanto appariva all’inizio, quando in soli dieci giorni fu concesso un permesso di “occupazione del suolo pubblico”. La funzionaria mette nero su bianco il seguente ragionamento: Farinetti avrebbe pagato 84 mila euro se avesse chiesto il “diritto di superficie”; ma pagando 13 mila euro l’anno, in 30 anni il patron di Eataly ne versa alle casse del Comune 390 mila. Conclude dunque che “si ritiene che allo stato sia più vantaggioso ed economicamente conveniente disciplinare il rapporto con la società Eataly Distribuzione srl attraverso il provvedimento concessorio emesso”.
Tutti i fruttivendoli e i ristoratori di Milano prendano nota e prenotino l’architetto.