Anche Amazon sotto indagine per tasse non pagate in Italia
Al confronto tra i candidati delle primarie Pd, Matteo Renzi l’ha ripetuto: “Niente web tax”. Due giorni dopo, apprendiamo che la Guardia di finanza di Milano ha contestato a uno dei giganti del web, Amazon, un’evasione fiscale di 130 milioni di euro. “E intanto, grazie a Renzi, ci ritroviamo Diego Piacentini, un’azionista importante di Amazon (attraverso stock option) come commissario italiano sul digitale”, protesta il candidato alle primarie Pd Michele Emiliano.
La Procura di Milano ha aperto da oltre un anno un’inchiesta sul colosso delle vendite in rete, coordinata dal pm Adriano Scudieri e dal procuratore Francesco Greco, e ha iscritto nell’elenco degli indagati un manager della filiale lussemburghese di Amazon. Ora le Fiamme gialle hanno redatto il “Processo verbale di constatazione” e quantificato la cifra della presunta evasione: 130 milioni in cinque anni, dal 2009 al 2014.
L’inchiesta giudiziaria ipotizza il reato di omessa dichiarazione dei redditi e contesta ad Amazon lo stesso meccanismo già sperimentato da altri colossi del web, da Apple a Google fino a Facebook: i profitti realizzati in Italia sono contabilizzati dalle filiali basate in Paesi europei a fiscalità privilegiata (Irlanda per Apple, Lussemburgo per Amazon), in modo da pagare le tasse (poche) in quei Paesi, lasciando a bocca asciutta l’erario italiano.
Il “Processo verbale di constatazione” del Nucleo tributario della Guardia di finanza è stato inviato nelle scorse settimane alla Procura, per gli aspetti penali, e all’Agenzia delle Entrate, per quelli fiscali. Nei prossimi giorni, l’erario presenterà le sue richieste all’azienda di Seattle, con un probabile avviso di accertamento fiscale nell’ambito di un contenzioso tributario, e la Procura chiuderà l’indagine con le sue contestazioni penali. Potrebbe ripetersi lo schema d’intervento già sperimentato dalla Procura guidata da Greco nei confronti di Apple. All’azienda di Cupertino è stato contestato di aver nascosto al fisco 879 milioni di euro in cinque anni.
Nel dicembre 2015 Apple ha chiuso il contenzioso con l’Agenzia delle Entrate versando 318 milioni di euro. A quel punto, la Procura di Milano ha avuto la mano leggera dal punto di vista penale: ha chiesto l’archiviazione per due manager italiani e accettato il patteggiamento per un manager irlandese, Michael O’Sullivan, legale rappresentante della Apple Sales International di Dublino, che se l’è cavata con una pena di 6 mesi di carcere convertiti in una multa di 45 mila euro.
Restano in corso almeno altre tre indagini simili, che riguardano Google, Facebook e Western Digital. Google è accusata di aver nascosto al fisco italiano redditi imponibili per 227 milioni di euro, nei quattro anni tra il 2009 e il 2013, attraverso uno schema elusivo che coinvolge società in Irlanda, ma anche in Olanda e Bermuda. È ancora in corso il contenzioso tributario con l’Agenzia delle Entrate. L’indagine penale è stata invece chiusa nel febbraio 2016 dal pm Isidoro Palma che a cinque manager di Google – due irlandesi, un inglese, un americano e un cittadino di Taiwan – ha però potuto contestare, come penalmente rilevante, solo un mancato versamento dell’Ires, l’imposta sui redditi delle imprese, relativa a un imponibile di 98,2 milioni di euro.
Il procuratore Francesco Greco aveva illustrato la sua strategia nei confronti delle multinazionali del web nel corso di un’audizione avvenuta il 4 aprile 2017 davanti alla Commissione industria e finanze del Senato, a proposito del mai arrivato ddl di regolamentazione fiscale delle attività digitali. In quella occasione, Greco aveva spiegato che nelle inchieste ci sono “enormi problemi in sede di accertamento e investigazione”.
In Italia la pubblicità web vale (dati del 2015) 1,66 miliardi, su 22,5 per cento del totale. E metà del mercato è controllata dai due colossi Google e Facebook. Ebbene: secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Google nel 2015 ha dichiarato ricavi in Italia per 67 milioni, ma i suoi ricavi reali generati nel nostro Paese sono almeno 637 milioni; per Facebook sono 8 milioni dichiarati, di fronte a 233 milioni reali.
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