MILANO

Scalo House. Altri tre giudici bocciano il Rito ambrosiano

Scalo House. Altri tre giudici bocciano il Rito ambrosiano

Mentre il sindaco Giuseppe Sala continua a dirsi convinto che sono regolari tutte le costruzioni sotto indagine a Milano, altri tre giudici lo smentiscono. Sono Carla Galli, Monica Amicone e Valerio Natale, componenti del Tribunale del riesame che respinge seccamente il ricorso della società Green Stone contro il sequestro del cantiere Lepontina dove è stato edificato Scalo House, due torri di 8 e 13 piani e uno studentato universitario.

I pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici con la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano avevano contestato una lunga serie di irregolarità edilizie: Scalo House è stato costruito dentro un cortile, come “ristrutturazione” pur essendo una nuova costruzione, senza un piano attuativo, sostituito invece da una convenzione urbanistica firmata privatamente davanti a un notaio dal costruttore e dal dirigente dello Sportello unico edilizia del Comune (Sue). Con monetizzazione delle aree standard calcolata a prezzi stracciati, configurando, secondo il gip che aveva disposto il sequestro, Matteo Fiorentini, un “finanziamento occulto ai privati”.

Per questa vicenda sono indagate dodici persone tra costruttori, professionisti e tecnici comunali, tra i quali spiccano tre personaggi ricorrenti nelle indagini: Giovanni Oggioni, direttore Sue (oggi agli arresti domiciliari per un’altra indagine), Paolo Mazzoleni, progettista poi diventato assessore all’Urbanistica a Torino, e Marco Stanislao Prusicki, presidente della commissione Paesaggio.

Respinta dai giudici la “negazione della natura di cortile da parte della Commissione per il paesaggio”: la stessa istruttoria preliminare del Comune, firmata dall’architetto Andrea Viaroli, chiamava ripetutamente “cortili” gli spazi interni del lotto considerato. Criticata “l’omessa valutazione da parte e dei competenti uffici comunali”, che avevano come al solito lasciato fare alla Commissione paesaggio. Contestato il “ricorso a una forma di convenzione urbanistica simulata stipulata direttamente, al di fuori di ogni schema legale logico e giuridico, tra l’operatore e il dirigente del Sue”.

I giudici non mancano di rilevare che la Commissione paesaggio dapprima esprime un parere negativo al progetto “che prevedeva “l’inserimento di un edificio di 13 piani inserito nello stesso spazio cortilizio all’interno dell’isolato, ritenuto eccessivamente impattante”. E poi cambia magicamente idea e dà il via libera al nuovo progettista, Mazzoleni, anche se “la nuova progettazione, giudicata favorevolmente dalla Commissione, prevedeva la stessa torre di medesima altezza nella medesima posizione all’interno dell’isolato”.

I giudici ribadiscono che “il progetto della torre non rispettava le distanze minime inderogabili con gli edifici vicini preesistenti”. Al posto “di un lotto a L di piccole dimensioni con la parte interna in precedenza occupata da edifici di un piano, è stata realizzata una nuova costruzione” di 13 piani.

Bacchettata la consulenza tecnica firmata dal professor Marcello Clarich e dall’architetto Marco Engel, che non chiarisce “in che cosa il progetto approvato dall’ultima Commissione per il paesaggio determinasse un minore impatto urbanistico”, “tenuto conto che si trattava della stessa torre, inserita nel medesimo spazio, alla medesima distanza degli edifici preesistenti”.

Il Fatto quotidiano, 13 marzo 2025
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