25 anni dopo: dimenticati i fatti, si beatifica Craxi. Malgrado le tangenti, nonostante la P2
Era il 27 luglio 1990 quando Sergio Mattarella si dimise da ministro della Pubblica istruzione (insieme ad altri quattro ministri della sinistra democristiana) per protestare contro il frutto forse più maturo della Prima Repubblica, quella legge Mammì che, dopo anni di protezione delle aziende di Silvio Berlusconi da parte di Bettino Craxi, santificava il monopolio berlusconiano e riconosceva tre reti tv al padrone di Arcore.
Trentacinque anni dopo, Mattarella, da presidente della Repubblica, elogia Craxi, riconoscendo che “è stata una personalità rilevante degli ultimi decenni del Novecento italiano”, che “ha impresso un segno negli indirizzi del Paese in una stagione caratterizzata da grandi trasformazioni sociali e da profondi mutamenti negli equilibri globali”.
Il capo dello Stato lo riconosce “interprete autorevole della nostra politica estera europea, atlantica, mediterranea, sostenitrice dello sviluppo dei Paesi più svantaggiati, aperta al multilateralismo”, che ha rafforzato “identità e valore della posizione italiana”.
Il “prestigio” in politica estera e il merito di aver firmato il nuovo Concordato con la Chiesa si sommano ai risultati “sul piano interno”: “Le politiche e le riforme di cui si fece interprete determinarono cambiamenti che incisero sulla finanza pubblica, sulla competitività del Paese, sugli equilibri e le prospettive di governo”. Con “una spiccata determinazione” che “caratterizzò le sue battaglie politiche, sia nel confronto tra partiti, sia in campo sociale e sindacale, catalizzando sentimenti contrastanti nel Paese”.
Tangentopoli, le inchieste per corruzione e finanziamento illecito, le condanne, la latitanza all’estero sono pudicamente evocate con delicate parafrasi: “La crisi che investì il sistema politico, minando la sua credibilità, chiuse con indagini e processi una stagione, provocando un ricambio radicale nella rappresentanza. Vicende giudiziarie che caratterizzarono quel burrascoso passaggio della vita della Repubblica”.
Due sentenze definitive consegnano alla storia Craxi come colui che incassò tangenti miliardarie per assegnare a Salvatore Ligresti la gestione di tutti gli assetti assicurativi di Eni; e per aver ricevuto la quota socialista (11 miliardi di lire) della “madre di tutte le tangenti”, la supermazzetta Enimont. Solo la prescrizione, poi, salva sia Craxi sia Berlusconi dalla sentenza All Iberian, che certifica che a Bettino arrivò la più grande delle tangenti pagate a un singolo uomo politico, 23 miliardi di lire versati dall’amico Silvio per ringraziarlo della legge Mammì, quella per cui Mattarella nel 1990 si dimise da ministro.
Quanto alla politica di Craxi “lo statista”, vale la pena di ricordare che, dopo aver tentato di fare il Mitterrand italiano e di battere la Democrazia cristiana, dopo la morte di Aldo Moro e il congresso Dc del 1979 cambiò schema di gioco e accettò il Caf (il patto Craxi-Andreotti-Forlani). Fu il trionfo della politica della P2. Fu proprio l’intervento di Licio Gelli a far arrivare a Craxi, nel 1980, i soldi del banchiere Roberto Calvi sul “conto Protezione” che salvarono il Psi e lo mantennero nelle mani di Bettino.
La scoperta delle liste della loggia a Castiglion Fibocchi, l’anno successivo, bloccò il sistema. Ma solo per qualche mese. Nel novembre del 1982 cade il governo di Giovanni Spadolini. La presidente della Commissione P2 Tina Anselmi scrive nei suoi diari: “Basta cambiare Spadolini con Fanfani perché la P2 rialzi la testa? Troppi segnali lo dimostrano”. E ancora: “Vedo Spadolini a Palazzo Chigi. Mi dice che la caduta del suo governo si può datare al 30 ottobre, quando lui si è rifiutato di nominare subito Di Donna”.
Leonardo Di Donna è il vicepresidente dell’Eni che aveva fatto finanziare il pericolante Banco ambrosiano di Calvi, con conseguente “provvigione” di 7 milioni di dollari al Psi sul “conto Protezione”. Nel 1982, caduto Spadolini, Di Donna viene nominato presidente dell’Eni. “Pertini”, annota Tina Anselmi, “pensa che ci sia stato un pactum sceleris fra Fanfani e Craxi”. Fanfani regge il governo fino all’estate del 1983. Poi, il 4 agosto, Craxi prende il suo posto ed entra a Palazzo Chigi. Con lui tornano al governo Andreotti agli Esteri e Forlani vicepresidente.
E tornano i piduisti: Pietro Longo al Bilancio, Silvano Labriola alla presidenza della commissione Affari costituzionali della Camera. Craxi rilancia la proposta piduista di passare a una Repubblica presidenziale. Venticinque anni dopo la sua morte, torna a spirare aria di presidenzialismo. E anche il capo dello Stato che si dimise contro l’accordo Craxi-Berlusconi sulla tv, ora rende omaggio allo “statista”.
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