Tra il Corvetto e Montenapo ci sono cinque chilometri. Via Montenapoleone, a Milano, è stata decretata da Cushman Wakefield (una società di consulenza immobiliare) la strada con i canoni d’affitto più alti al mondo: 20 mila euro annui al metro quadro, più di quanto costino la Quinta Strada di New York, la New Bond Street di Londra, l’Avenue des Champs Elysées di Parigi. Il Corvetto è un vecchio quartiere popolare milanese che negli ultimi anni ha cambiato volto, con l’arrivo di molti nuovi abitanti provenienti soprattutto dall’Egitto e da Paesi del Maghreb.
Nelle notti scorse è stato il centro di disordini, dopo che un ragazzo di 19 anni di origine egiziana, Ramy, è morto cadendo da un motorino al termine di un lungo inseguimento da parte di un’auto dei carabinieri. Ramy e il suo amico Fafa che era alla guida del Tmax non si erano fermati a un posto di blocco. La morte di Ramy ha innescato al Corvetto la protesta rabbiosa di gruppi di ragazzi che chiedono “giustizia”.
Non sappiamo ancora che cosa sia successo veramente, se l’auto dei carabinieri abbia speronato il motorino su cui fuggiva Ramy. Di certo c’è solo che la sua morte ha risvegliato la rabbia invisibile che cova nelle periferie di Milano, ha innescato il fuoco sotto la cenere che aspetta solo una scintilla per divampare. E l’incendio non farà bene alla città.
Perché i ragazzi che si ribellano hanno mille ragioni per farlo, in un quartiere abbandonato dall’amministrazione, dalle istituzioni, dalla politica. È un quartiere che non esiste, un luogo di fantasmi, nella narrazione gloriosa della Milano caput mundi che esibisce orgogliosa come una sua gloria il record mondiale degli affitti a Montenapo. Ma la loro ribellione senza parole per dirla è condannata a essere un videogioco per maranza che mima le parole dei rapper contro la polizia. E a essere sconfitta dalla tenaglia degli “opposti estremismi” in versione 2.0: repressione e buonismo ipocrita.
Il primo “estremismo” è quello di una destra razzista e fascista, ma soprattutto stupida, come quella che ha vomitato decine di insulti sotto un mio post su X che chiedeva di ascoltare “la rabbia che cova sotto lo zucchero della Milano splendente”: “Non sono ragazzi del Corvetto, ma delinquenti e spacciatori”; “Se a loro non piace stare qui, tornino in Africa”; “Abbiamo paura a uscire la sera”; “Ci vuole l’esercito”; “Non hanno alcun diritto di stare qui, devono andarsene nei loro Paesi di cammellieri che si prostano a La Mecca”. “Sono schifosi delinquenti stranieri, non vanno ascoltati, ma massacrati”.
Il secondo “estremismo” è quello di una sinistra che ha costruito scientificamente, negli anni, la Milano a due facce, quella premium di Montenapo e quella ghetto del Corvetto. È il Modello Milano che genera grattacieli scintillanti nei cortili e case popolari fatiscenti abbandonate al loro destino, che produce il trionfo della rendita, la privatizzazione di ogni spazio, lo smarrimento dell’effetto città, in cui la valorizzazione del territorio dovrebbe sì produrre ricchezza per gli operatori, ma anche servizi per tutti i cittadini, riducendo le disuguaglianze.
Milano ha risolto il problema al suo solito modo, con il rebranding: ha cancellato la parola “periferie”, sostituita da “quartieri”. Il problema non è etnico, ma di classe. Non sono, innanzitutto, “stranieri”, sono poveri e senza futuro. La riduzione delle disuguaglianze era, nel Novecento, il progetto della sinistra. Si è smarrito nelle alchimie da apprendisti stregoni delle “partnership pubblico-privato”.
La città è diventata una miniera da cui estrarre valore immobiliare, per poi andare altrove quando la vena aurea si è esaurita. Quel che resterà è una metropoli spremuta, incattivita, in cui è cresciuta l’intolleranza e il razzismo, ormai pronta ad accogliere il comando della destra che completerà l’opera e alimenterà i cupi bagliori di fuoco che nascono dalla rabbia.