Le armi di Gaetano
» Gaetano Pecorella
Stravolgere i codici, riscrivere le leggi. Su misura. È questo il programma di Silvio Berlusconi per l’autunno.
Regista sarà Pecorella. Oggi mente giuridica del centrodestra. E ieri…
Altro che legittimo sospetto. I propositi della maggioranza berlusconiana sono ben più ampi: a settembre gli avvocati-parlamentari del centrodestra cominceranno a rovesciare sul tavolo una serie di proposte sulla giustizia capaci di cambiare i connotati al codice penale e a quello di procedura penale. Il disegno di legge più ampio (45 articoli) è quello firmato da Giancarlo Pittelli, deputato, avvocato, di Forza Italia, che prevede (tra l’altro) d’informare immediatamente mafiosi e criminali che è stata aperta un’indagine su di loro; e impone all’accusa di dimostrare ogni volta da capo, nei processi di mafia, l’esistenza dell’organizzazione mafiosa, senza utilizzare le sentenze precedenti…
Contro lo stravolgimento del processo penale, i movimenti hanno indetto una manifestazione nazionale a Roma: un girotondo dei girotondi, per sabato 14 settembre. Per quella data, sarà già cominciata alla Camera la battaglia per l’approvazione definitiva della legge che reintroduce nel nostro ordinamento il «legittimo sospetto» come motivo per strappare il processo al suo giudice naturale. Una misura, dicono gli inquilini della Casa delle libertà, utile a impedire che i cittadini siano vessati da «giudici di sinistra» (attenzione: non da giudici non imparziali, di destra o di sinistra che siano, ma da giudici «di sinistra»). Significa allora che chi è di destra avrà il diritto a essere giudicato da un giudice di destra? E chi è di sinistra potrà scegliersi un giudice di sinistra? Sarebbe, evidentemente, la fine della giustizia, dell’accertamento dei fatti (i reati contestati ci sono o non ci sono?), sostituito con il legittimo sospetto che ogni giudizio sia frutto di pregiudizio, anzi di un complotto politico.
Gianobifronte. Primo officiante della celebrazione autunnale del funerale della giustizia italiana sarà Gaetano Pecorella, che dovrà guidare il dibattito sul «legittimo sospetto» in quanto presidente della commissione Giustizia della Camera dei deputati. Pecorella è anche difensore di Silvio Berlusconi, e proprio nel processo di Milano che potrebbe essere subito spostare a Brescia dalla Cassazione (e quindi inghiottito dalla prescrizione) non appena il «legittimo sospetto» diventerà legge dello Stato. Insomma, Pecorella è un Giano Bifronte: avvocato nelle aule di Tribunale e al tempo stesso legislatore che confeziona e spinge in Parlamento le leggi utili a ottenere successi professionali in Tribunale.
L’opposizione ha chiesto che, almeno questa volta, Pecorella si astenga dal presiedere la commissione. «Non solo è l’avvocato dell’Imputato e contemporaneamente è colui che pensa e scrive le leggi utili a risolvere i problemi processuali dell’Imputato stesso, che è anche suo Capo politico», argomenta il senatore Nando dalla Chiesa, «ma questa volta dovrebbe perfino stabilire le procedure di approvazione parlamentare di una di quelle leggi. Dovrà selezionare e stabilire le priorità nell’ordine del giorno, decretare il numero e gli orari delle sedute, decidere a colpi di maggioranza le interpretazioni del regolamento: e questo in una situazione in cui la legge deve passare prima che inizino a Milano le requisitorie finali dell’accusa contro il suo cliente e i suoi coimputati».
Pecorella ha già promesso che (alla Camera) non tollererà manovre ostruzionistiche per rallentare l’approvazione della legge. Proprio lui che (in Tribunale) è ricorso a ogni tipo di ostruzionismo per rallentare il processo. Ma Pecorella è un uomo che viene da lontano. Intelligente, ambizioso, preparatissimo, alla fine degli anni Sessanta diventa assistente universitario di Giandomenico Pisapia, che in futuro sarà il padre del nuovo codice di procedura penale. Accanto a lui sono Ennio Amodio e Oreste Dominioni. Tutti e tre sono destinati a diventare avvocati della famiglia Berlusconi, ma nel Sessantotto, giovani promesse del Foro milanese, sentono il vento della rivolta e si schierano a sinistra. Gaetano è, tra loro, il più deciso, il più impegnato, il più estremista. Entra a far parte del gruppo dirigente informale del Movimento studentesco dell’università statale, quindici-venti persone tra cui Mario Capanna, Salvatore Toscano, Alfonso Gianni, Popi Saracino… «Non avevamo una sede, di giorno ci trovavamo in università, la sera ci riunivamo a casa di qualcuno di noi», ricorda Luciano Pettinari, oggi dirigente della sinistra Ds. «Il Movimento studentesco aveva un gruppo molto agguerrito di avvocati», racconta Alfonso Gianni, oggi braccio destro di Fausto Bertinotti, «c’erano Giuliano Spazzali, Marco Janni, Francesco Fenghi, Michele Pepe… Ma Pecorella era il più autorevole. E il più impegnato. Il suo apporto non era soltanto tecnico, Gaetano era un vero militante politico».
Dominioni e Amodio, suoi colleghi nello studio Pisapia, ottengono una cattedra universitaria. Pecorella invece non vince il concorso e si deve accontentare di fare il professore incaricato alla facoltà di Scienze politiche. Non gli va bene neppure in politica: per due volte si presenta alle elezioni, nelle liste dei gruppi extraparlamentari (Sinistra unita, Democrazia proletaria), ma è sempre il primo dei non eletti. Resta l’esponente più autorevole del «collettivo avvocati» del Movimento studentesco. Anche il più estremista: teorizza (nei suoi interventi nell’aula magna dell’università, ma anche sulla rivista Qualegiustizia) che la giustizia è di classe e che quella «del sistema è una specie come un’altra di violenza»; Pecorella critica «il giurista mezzo di conservazione» che «rifiuta la violenza di piazza» ma ammette «la violenza esercitata dallo Stato».
Bruno Tassan Din, l’uomo della P2 al «Corriere della sera», con il suo avvocato Gaetano Pecorella
Da Capanna a Tassan Din. La violenza di piazza la conosce bene: il Movimento studentesco ha costituito «squadre di autodifesa» con il compito dichiarato di difendere i cortei studenteschi dagli attacchi della polizia e dei gruppi fascisti. I «giornali borghesi» chiamano «Katanga» i giovani che ne fanno parte. Armi ammesse: sassi, biglie di ferro, spranghe, chiavi inglesi, bottiglie molotov. Pecorella consiglia come impostare la difesa dei «compagni» arrestati o denunciati per violenze o per porto di «armi improprie». Un piccolo «arsenale» di queste è sempre pronto – nel caso di attacchi della polizia o dei fascisti – nei sotterranei della Statale: nei locali detti dell’Interfacoltà, di cui responsabile è proprio il professor Pecorella.
In due casi il «compagno avvocato» fa qualcosa di più: avverte in anticipo i militanti del Movimento che sono in arrivo guai penali. Il primo caso è quello del Rapporto Mazza, il cosiddetto «Rapportone»: un dossier del questore di Milano, calcando i toni ed esagerando il pericolo, denuncia l’esistenza in città, dentro il Movimento studentesco, di strutture armate. I dirigenti dell’Ms vengono a conoscenza in anticipo del contenuto del rapporto e per qualche tempo i «compagni» i cui nomi sono contenuti nel dossier cambiano aria. Poi l’inchiesta giudiziaria sul caso si chiude senza conseguenze.
Il secondo caso è ancor più clamoroso. Vengono emessi mandati di cattura nei confronti di tre dirigenti del Movimento, Mario Capanna, Fabio Guzzini e Giuseppe Liverani, accusati di aver organizzato una occupazione (peraltro pacifica) del rettorato dell’università statale. Capanna e Guzzini non si fanno trovare a casa e si danno alla latitanza. Liverani è arrestato, ma soltanto perché è bloccato in caserma, dove stava facendo il servizio militare di leva. La spiegazione che gira nell’Ms è che nei due casi sia stato Pecorella, forte di buone entrature a palazzo di Giustizia (qualche «toga rossa»?), a sapere in anticipo del «Rapportone» e dei mandati di cattura e ad avvertire gli interessati.
Legge ancella della politica. La svolta nella vita di Pecorella, avvocato rosso, avviene qualche anno dopo, quando assume la difesa di Bruno Tassan Din, amministratore delegato della Rizzoli-Corriere della sera, che si era di fatto impossessato dell’azienda per conto della P2 di Licio Gelli e Umberto Ortolani.
Pecorella difende gli interessi dell’uomo della P2 nelle aule di Tribunale, ma anche fuori: in visita al viceprefetto di Milano, gli cade dalla tasca un nastro magnetico su cui è registrata una telefonata di Gelli, con il risultato di bloccare la trattativa avviata dal costruttore Giuseppe Cabassi per l’acquisto del Corriere della sera, che sarebbe stato subito strappato dalle mani di Tassan Din. Per questa vicenda, l’Ordine degli avvocati di Milano apre un procedimento disciplinare per stabilire se siano state violate le regole deontologiche, ma il procedimento si conclude con un nulla di fatto. Pecorella, ormai brillante e ricercato professionista, prosegue tranquillo la sua carriera. Fino agli anni Novanta, quando incontra un altro iscritto alla P2, Silvio Berlusconi, di cui diventa prima avvocato, poi parlamentare, e infine presidente della commissione Giustizia della Camera. «Mi hanno offerto un posto, ma resto indipendente, continuo a combattere le mie battaglie», confida, appena eletto deputato, a un amico, stupito di vederlo schierato con Forza Italia. Per qualche mese si permette di fare il battitore libero, di firmare anche leggi proposte dalla sinistra. Ben presto però diventa in tutto allineato e coperto al suo partito. Nel frattempo ha assunto anche la difesa di Delfo Zorzi, il fascista accusato (e poi condannato in primo grado) di essere l’esecutore materiale della strage di piazza Fontana. Proprio lui che negli anni Settanta, nel primo processo per la strage, era stato uno degli avvocati di parte civile contro i fascisti.
Voltagabbana? Cinico e ambizioso affascinato dal potere e dalla ricchezza? Oppure spirito libero, capace di cambiare idea? Certo Pecorella ha mutato tante cose, nella sua vita, ma una continuità, teorica e di comportamento, gli va riconosciuta: tratta la legge sempre come ancella della politica, strumento da piegare in nome di interessi superiori. Ieri quelli «rivoluzionari»,«di classe». Oggi quelli del nuovo potere, incarnato dal suo più importante cliente, che è anche – scherzi del destino – il suo leader politico.