La sindaca ringrazi i “bangla” che hanno salvato Monfalcone
Quello che sta succedendo a Monfalcone non è roba da cronaca locale. Ci racconta dell’Italia e del suo futuro – sociale, culturale, industriale, religioso, politico – più di quanto succede a Roma o a Milano. Nelle scorse settimane, la sindaca leghista della città, Anna Cisint, ha proibito l’utilizzo di due centri culturali che erano usati anche per la preghiera dei musulmani.
La proibizione è stata inflitta per asserita violazione delle norme sulla destinazione d’uso. Ma ha di fatto violato il diritto di culto garantito dalla Costituzione. Ed è la sindaca stessa a vantarsi, davanti alle assemblee leghiste e a Matteo Salvini, di “aver chiuso due moschee” per fermare “il piano di islamizzazione della città e di sostituzione degli italiani”.
Ha dichiarato guerra ai suoi concittadini di origine straniera e di religione musulmana, con un crescendo di interventi: ha fatto togliere le panchine dalla piazza del municipio “perché ci si siedono solo i bangladesi”; ha proibito alle donne islamiche di fare il bagno senza togliersi i vestiti; ha bloccato i corsi preparto (a fare figli sono ormai quasi solo le donne di origine straniera); ha ridotto i corsi di lingua italiana per stranieri; ha contingentato il numero di ragazzi d’origine straniera nelle classi, deportando fuori città le “eccedenze”; ha tolto il diritto di voto per i consigli di rione agli stranieri (che prima lo avevano); ha perfino eliminato il cricket (sport nazionale in Bangladesh) dalla festa dello sport monfalconese.
Di fronte a questa guerra dichiarata, le comunità degli stranieri hanno reagito con un grande, civilissimo corteo di protesta, il 23 dicembre: 8 mila persone (più dei voti ottenuti dalla sindaca alle elezioni: 7.500, pari al 72% dei votanti). Con due sole bandiere, il tricolore italiano e il vessillo dell’Europa, e un solo slogan: “Siamo tutti monfalconesi”.
Una lezione di civiltà e di stile. A cui la sindaca ha reagito con dichiarazioni incredibili che sembrano provenire da un’altra dimensione, da un mondo parallelo: “Non mi lascerò intimidire da manifestazioni come quella odierna. In questa vigilia natalizia, Monfalcone ha avuto la più evidente dimostrazione della volontà di prevaricazione da parte della comunità musulmana per imporre il proprio modello islamico più integralista. Da un lato, nel centro cittadino, la voglia di festeggiare il momento più alto della Natività nel quale si riconoscono i principi cristiani che sono alla base della nostra civiltà, dall’altro un’indecorosa protesta basata su presupposti inquietanti che preoccupano per il loro richiamo all’intolleranza verso l’accettazione dei nostri presupposti di convivenza sociale e legalità”.
In preda a quale sindrome allucinatoria era, quel giorno, la sindaca? Una tranquilla manifestazione fatta da mamme con bambini in carrozzina diventa “prevaricazione” e “modello islamico integralista”. Sullo sfondo di uno “scontro di civiltà”: da una parte, “nel centro cittadino”, la “voglia di festeggiare il momento più alto della Natività nel quale si riconoscono i principi cristiani che sono alla base della nostra civiltà”, dall’altra, una “protesta indecorosa”.
Forse Cisint, dopo essere rientrata in sé, dovrebbe leggere il Vangelo, in cui Gesù nasce povero, straniero e in fuga per le persecuzioni di Erode. E poi dovrebbe cominciare a essere finalmente il sindaco di tutti i cittadini di Monfalcone: 30 mila persone, di cui quasi un terzo di origine straniera – un record in Italia, un caso da studiare – che dovrebbe innanzitutto ringraziare perché hanno salvato Monfalcone, company town di Fincantieri, dal sicuro declino e l’hanno resa fiorente venendo a lavorare sottopagati e senza diritti nei cantieri navali, salvandoli dal fallimento.
Il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, persona civile, lo spieghi alla sua collega di partito, che con la sua politica d’odio spera di guadagnare punti per diventare presidente del porto di Trieste. (Il Fatto quotidiano, 29 dicembre 2023)
Una lezione di civiltà. Ottomila cittadini hanno pacificamente manifestato ieri, 23 dicembre, a Monfalcone, in provincia di Gorizia, per sostenere il diritto di tutti a convivere nella città dove si vive e lavora. Uomini, donne, bambini sono sfilati dietro lo striscione “Siamo tutti monfalconesi. No alle divisioni”, sventolando solo bandiere italiane e dell’Unione europea. Era stato Bou Konate, ingegnere senegalese che da decenni vive a Monfalcone, a lanciare l’idea di una grande manifestazione pacifica, dopo che la sindaca leghista Anna Maria Cisint aveva dichiarato guerra agli stranieri e aveva chiuso due centri culturali usati anche come moschee, sostenendo che non erano in regola con le norme edilizie, ma indicando il pericolo “dell’islamizzazione della città e della sostituzione degli italiani”. Un terzo dei 30 mila abitanti di Monfalcone è di origine straniera, in prevalenza di religione musulmana. La comunità più numerosa è quella che proviene dal Bangladesh. L’immigrazione si è concentrata negli anni a Monfalcone soprattutto perché Fincantieri, l’azienda pubblica che lì produce le navi da crociera, ha un grande bisogno di manodopera. La riorganizzazione della cantieristica e il successo globale dell’azienda italiana sono effetto anche della presenza dei bangladesi, che lavorano spesso in subappalto e in condizioni di inferiorità per salario e diritti rispetto agli italiani. “Siamo tutti monfalconesi, siamo cittadini italiani, paghiamo le tasse, parliamo l’italiano e contribuiamo alla produzione del Paese”, ha detto Konate. “Chiudere i nostri luoghi di preghiera è anticostituzionale. Riconoscere i diritti di tutti significa favorire l’integrazione”. La sindaca, dopo aver ricevuto videochiamate da Matteo Salvini e dal presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, ha reagito duramente, dicendo che “non si lascerà intimidire da manifestazioni come quella odierna. In questa vigilia natalizia, Monfalcone ha avuto la più evidente dimostrazione della volontà di prevaricazione da parte della comunità musulmana per imporre il proprio modello islamico più integralista. Da un lato, nel centro cittadino, la voglia di festeggiare il momento più alto della Natività nel quale si riconoscono i principi cristiani che sono alla base della nostra civiltà, dall’altro un’indecorosa protesta basata su presupposti inquietanti che preoccupano per il loro richiamo all’intolleranza verso l’accettazione dei nostri presupposti di convivenza sociale e legalità”. (Il Fatto quotidiano, 24 dicembre 2023)