La “guerra” (legale) di Silvio. Amnesie e spiacevoli memorie
di Luigi Ferrarella, Corriere della sera /
Più osceni di quanti riducono alla sola dimensione giudiziaria il ruolo di Berlusconi nella storia d’Italia, ci sono solo quelli che, volendo ridurla al «pari e patta» della reazione alla presunta guerra dei 30 anni dichiaratagli dalle toghe, costringono (pure chi nel silenzio vorrebbe rispettare morte dell’uomo e dolore della famiglia) a compilare promemoria spiacevoli. Le leggi «ad personam»: per spostare i processi, sterilizzare singoli reati, annullare le rogatorie estere, far evaporare nella prescrizione le sentenze, darsi l’immunitá nella carica istituzionale, togliere l’appello dei pm, inibire a una toga malvista la procura nazionale antimafia.
L’asservimento del Parlamento ridotto a votare Ruby nipote di Mubarak. I suoi parlamentari che invadono il Tribunale. I suoi avvocati-parlamentari promotori di leggi che poi usavano nei processi. I «legittimi impedimenti» per sottrarsi alle udienze. I testi convocati a casa sua dai suoi legali a discutere delle sue inchieste agli albori, e ricoperti d’oro. I giudici corrotti da un suo avvocato con il suo denaro.
Le ricusazioni dei giudici sgraditi. Le azioni disciplinari, le ispezioni ministeriali, gli esposti al Csm e le denunce penali contro i pm, i dossieraggi volantinati con la messa a bilancio nei suoi media dei costi della diffamazione. Le fatture false della sua concessionaria di pubblicità. I miliardi di lire di finanziamento illecito estero al segretario di partito che ne aveva protetto le televisioni. I soldi a un senatore per farlo passare dalla propria parte.
La condanna definitiva per frode fiscale. Le otto prescrizioni lucrate dalle sue leggi, quattro cancellando condanne già intervenute in primo o secondo grado per fatti attestati proprio dalle motivazioni di quei proscioglimenti. Le undici archiviazioni e assoluzioni nel merito, comprese le sentenze che documentavano il reato (come le tangenti alla Guardia di Finanza) ma in via definitiva lo attribuivano a suoi collaboratori, gratificati dopo la condanna da sue maxidonazioni e da scranni parlamentari. Le intercettazioni segrete di un suo rivale politico, portategli a casa da chi in Procura le aveva fatte, e poi pubblicate dal suo giornale sotto elezioni.
Le ambiguità sugli amici condannati per mafia. L’infelice selezione di ministri, sindaci e governatori poi condannati. Fingere di dimenticarlo ha a che fare non solo con il passato di Berlusconi, ma anche (a giudicare dall’annunciato «tributo» dell’odierna riforma governativa della giustizia) con il futuro prossimo di quanti ne mutuano una ricorrente pretesa: essere esonerati, in ragione del consenso, dalle medesime regole valide per tutti gli altri cittadini.