Caso Cucchi, la figlia di Pinelli: “Una democrazia è compiuta quando riconosce gli errori”
Lo dice in un sussurro: “Una democrazia è compiuta nel momento in cui riconosce gli errori e non ha paura della verità”. Claudia Pinelli è la figlia di Pino Pinelli, il ferroviere anarchico entrato vivo nella questura di Milano dopo la strage di piazza Fontana, nel dicembre 1969, e uscito morto dopo ore di interrogatorio e un volo dalla finestra del quarto piano. Esistono foto privatissime, di un bianco e nero struggente, che la ritraggono in braccio al padre, insieme alla sorella Silvia e accanto alla madre Licia.
Ora che i magistrati romani hanno chiuso l’indagine sulla fine di Stefano Cucchi, fermato dai carabinieri il 15 ottobre 2009 e morto una settimana dopo, formalizzando per tre carabinieri l’accusa di omicidio preterintenzionale, Claudia pensa al dolore e alla forza di Ilaria Cucchi, e ad altre foto, diventate pubbliche e violentemente a colori: “Ilaria ha dovuto far circolare le immagini di suo fratello Stefano, per rompere il muro del silenzio. Pensate la sofferenza che ha dovuto provare, nel rendere pubbliche quelle fotografie terribili. È così, ieri come oggi: le famiglie devono sobbarcarsi di pesi enormi. Ilaria Cucchi ha dovuto combattere per sette anni per ottenere questo risultato. E la mamma di Federico Aldrovandi ha dovuto aprire un blog, per far conoscere a tutti la storia di suo figlio diciottenne, morto nel 2005 a Ferrara per le percosse ricevute durante un controllo di polizia. E Giuseppe Uva? Due pm sono andati sotto inchiesta e sono stati sanzionati per ritardi e negligenze nelle indagini sul giovane morto dopo essere stato fermato a Varese nel 2008”.
Claudia continua: “C’è chi copre e depista. Ma in una democrazia compiuta, lo Stato quando sbaglia dovrebbe riconoscere i suoi errori. Se uno muore quando è nelle mani dello Stato, in una caserma, in una questura, in un carcere, sotto la tutela dello Stato, dovrebbe essere lo Stato a fare chiarezza, a spiegare la verità alle famiglie e ai cittadini. Invece, oggi come ieri, sono le famiglie e gli amici che devono muoversi, resistere per anni, promuovere azioni dolorose, faticose e oltre a tutto costose, per cercare di arrivare alla verità. I casi di cui siamo a conoscenza sono quelli che sono finiti sui giornali, per il coraggio delle famiglie che hanno parlato e si sono date da fare. Anche sostenendo spese pesanti. Chi invece non ha una famiglia alle spalle resta senza nome e senza giustizia”.
E non è mai finita: “La strada è ancora lunga e in salita: ora è stata riconosciuta l’accusa di omicidio per i tre carabinieri, ma dovrà esserci un processo, con tre gradi di giudizio”. Le cose non stanno affatto progredendo, secondo Claudia Pinelli: “Negli anni Ottanta la situazione era un po’ migliorata, con un tentativo di democratizzazione della polizia. Oggi invece è favorito l’ingresso nella polizia e nei carabinieri di chi sceglie la leva militare facoltativa; così i corpi di pubblica sicurezza sono sempre più militarizzati”.