Il giudice dell’indagine preliminare di Milano Sofia Fioretta ha archiviato (come chiesto dalla Procura, pm Giovanni Polizzi) l’ultima parte del procedimento ancora aperto che riguardava gli affari di Eni in Congo. Ha preso atto che dal Principato di Monaco non sono mai arrivati i documenti bancari richiesti per rogatoria fin dal 2018, che avrebbero potuto eventualmente chiarire i rapporti finanziari tra uno degli indagati, Alexander Haly, e i coniugi Claudio Descalzi (amministratore delegato di Eni) e Marie Madeleine Ingoba. L’iniziale ipotesi d’accusa, tutta da verificare, era che Haly fosse una sorta di prestanome della famiglia Descalzi-Ingoba.
L’accusa ipotizzava, tra l’altro, che quote di un giacimento congolese, Marine XI, fossero passate a una società amministrata da Haly, la Wnr – World Natural Resources, come parte dello scambio di favori avvenuto tra Eni e Denis Gokana, uomo del dittatore congolese Denis Sassou Nguesso, con il coinvolgimento anche degli interessi di Madeleine Ingoba. Impossibile da dimostrare, senza le carte di Montecarlo.
Il gip ha preso atto pure che la Procura (pm Paolo Storari) aveva accettato il patteggiamento dell’imputato Eni spa e riqualificato il reato contestato ad alcuni manager Eni, da corruzione internazionale a induzione indebita. Ciò ha comportato la riduzione del termine di prescrizione, che maturerà già il 18 marzo 2023, rendendo comunque impossibile, a questo punto, concludere il procedimento in tempo.
Evapora anche l’altro reato contestato (a Descalzi e sua moglie) di omessa dichiarazione del conflitto d’interessi, per non aver dichiarato che società detenute dalla moglie (il gruppo Petroservice) avevano incassato da Eni 304.079.755,71 dollari. Il codice prevede infatti che quell’omissione debba causare un danno per la società o per terzi, condizione che non si è verificata. Inoltre le operazioni commerciali con le società del gruppo Petroservice sono state realizzate – scrive il giudice – da società del gruppo Eni, ma “distinte da Eni spa, dotate di autonomia giuridica e di propri organi gestori”.
Infine, la società Petroserve Holding Bv, detenuta da Cardon Sa, all’epoca dei fatti in contestazione non era più riconducibile alla moglie Maria Madeleine Ingoba, che l’aveva passata, già dal 26 giugno 2012, al trust neozelandese Loba, la cui beneficiaria dal 23 agosto 2012 era la sorella dell’indagata, Simone Antoinette Ingoba, a cui dal 1 marzo 2013 era subentrato Haly. L’8 maggio 2014, quando diventa amministratore delegato di Eni – conclude il giudice – Descalzi non si trova dunque giuridicamente in alcuna posizione di conflitto di interessi.
Su un conto corrente cipriota, intestato alla società Cardon, “sarebbero transitati importi ingenti provenienti dalle diverse società del gruppo Eni”, scrive il gip. Ma il conto, nella disponibilità di Ingoba dal 6 novembre 2012 al 22 dicembre 2015, “è risultato privo di movimentazioni dall’aprile 2014 al dicembre 2015”: “sicché anche se si ipotizzasse che i pagamenti eseguiti fino a tale data fossero oggetto di accordi corruttivi, essi sarebbero in ogni caso estinti per prescrizione”.