Server pieni e caos archivi: il vero “caso intercettazioni” di cui il ministro dovrebbe occuparsi
Carlo Nordio continua la sua guerra contro le intercettazioni, smentito prima dai fatti (l’arresto di Matteo Messina Denaro e di altri sette per mafia, grazie anche alle intercettazioni) e ieri smentito pure dal garante della privacy, Pasquale Stanzione, il quale ha spiegato che “dal 2020, cioè con la nuova legge, non abbiamo registrato alcuna violazione della privacy”. Intercettazioni utili, anzi necessarie, dunque, per perseguire i reati. E nessun abuso di uno strumento delicato, essenziale e già riformato dalla legge sulle intercettazioni dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, che ha integrato alcune indicazioni ereditate dal predecessore, Andrea Orlando.
Ma basta fare un giro in diverse Procure d’Italia per capire che sono altri i problemi a cui Nordio dovrebbe dedicarsi, da ministro responsabile della macchina organizzativa per far funzionare la Giustizia. La riforma infatti ha previsto la costituzione presso le 142 Procure italiane di un Archivio delle intercettazioni (Adi) in cui i pm devono versare le intercettazioni, che restano segrete e custodite sotto la responsabilità del procuratore della Repubblica.
Sono accessibili agli avvocati difensori, che sotto ferreo controllo possono accedere all’Adi e ascoltarle per poter svolgere il loro ruolo difensivo. Il ministro non lo sa, ma questo sistema non funziona: a causa dei difetti tecnici e organizzativi che il suo ministero sarebbe tenuto a eliminare. Inceppi, blocchi (e conseguenti proteste dei magistrati) sono segnalati in molte Procure d’Italia, comprese le più grandi, Roma, Milano, Napoli, Palermo.
Nel capoluogo siciliano, qualche impiccio tecnico lo ha avuto anche Paolo Guido, il procuratore aggiunto titolare dell’indagine che ha portato all’arresto di Messina Denaro. A Milano, il nuovo sistema di trattamento delle intercettazioni è quasi allo stallo. Il procuratore aggiunto Laura Pedio racconta le difficoltà nell’utilizzare l’Archivio delle intercettazioni, già più volte segnalate con relazioni al ministero della Giustizia.
Lo spazio informatico d’archiviazione delle intercettazioni si è già esaurito. Poco più di un mese fa è stato ampliato, ma ora è di nuovo quasi al blocco. Il sistema è complicato e farraginoso, poiché a ogni singola utenza intercettata dev’essere assegnato un Rit (il numero di registro delle intercettazioni telefoniche). I “conferimenti” (cioè gli inserimenti delle intercettazioni nel sistema) spesso non funzionano. Inserimenti di dati che potrebbero essere fatti in poche ore durano a volte un’intera giornata, con la conseguenza che i magistrati che hanno un’urgenza, per esempio mandare le intercettazioni a un giudice che deve decidere una misura cautelare, sono costretti a tornare all’utilizzo dei vecchi dischetti informatici.
Accade poi frequentemente che gli avvocati che arrivano all’Adi per una “fruizione” (cioè l’ascolto delle intercettazioni dei loro assistiti) non trovino proprio quella che cercano, che risulta inserita ma non disponibile. Per risolvere il problema, deve tornare in campo l’azienda privata che ha realizzato le intercettazioni e rifare da capo tutti i versamenti del blocco che aveva già inserito nel sistema: è successo negli scorsi mesi almeno 15 volte, con la conseguenza che ora nel sistema c’è una duplicazione dei dati versati, perché non è possibile cancellare quelli già inseriti che non funzionano. Questo contribuisce a esaurire rapidamente lo spazio d’archiviazione.
I magistrati raccontano che le macchine dell’Archivio spesso saltano e si bloccano, proprio come quando in una casa salta la corrente. Tutto questo sistema è sotto la responsabilità del procuratore della Repubblica. Ma a realizzare materialmente le intercettazioni sono aziende private: chi garantisce – si chiede un pm – che queste aziende, dopo il “conferimento” all’Adi, distruggano davvero il materiale registrato?
A Roma la sala intercettazioni si trova al primo piano della Procura. Qui gli avvocati possono ascoltare le captazioni telefoniche, sotto l’occhio delle telecamere: per impedire che vengano fatte copie e fotografie. Ogni qualvolta un legale ritenga un’intercettazione interessante, può chiederne la trascrizione. In questo modo ogni “uscita” viene tracciata. Anche dalla capitale sono partite segnalazioni al ministero per il malfunzionamento dell’Archivio intercettazioni: annotazioni di servizio e comunicazioni rimaste senza risposte concrete.
È successo perfino che alcune intercettazioni siano andate perdute, problema risolto solo grazie al fatto che ne esisteva una copia precedente. Anche gli avvocati hanno qualche difficoltà: “Per quel che riguarda la classificazione delle intercettazioni, nei fatti la riforma Orlando è fallita”, spiega Cesare Placanica, responsabile nazionale dell’osservatorio sul giusto processo delle Camere penali.
“Il motivo è semplice: la polizia giudiziaria seleziona le intercettazioni più importanti, ma in ogni indagine ce ne sono molte altre, mesi di telefonate captate. Per un avvocato è impossibile ascoltarle tutte, dovrebbe avere a disposizione un intero ufficio per ogni cliente, che poi avrebbe una parcella molto salata. E chi può permetterselo? Così con questo meccanismo viene leso anche il diritto di difesa”.
Segnalazioni al ministero sono arrivate anche dalla Procura di Napoli: anche qui lo spazio digitale per l’archiviazione si sta esaurendo. Anche perché la riforma Cartabia ha imposto la videofonoregistrazione per gli interrogatori di garanzia, quelli degli indagati e delle persone coinvolte in casi da Codice rosso. Per ampliare la capienza dei server c’è bisogno, ovviamente, di nuove risorse. Ma Nordio si è detto d’accordo con i tagli imposti dal governo Meloni. Evidentemente la cura Nordio è diversa da quella che chiedono i magistrati che ogni giorno svolgono le indagini.