San Siro, il Vietnam del sindaco Sala
Un Giuseppe Sala sempre più svogliato (per il presente da sindaco) e preoccupato (per il futuro senza certezze, dopo palazzo Marino) si sta logorando sull’affare San Siro. Credeva di togliersi subito il pensiero, dando il via libera all’operazione come primo atto del suo secondo mandato, già nell’ottobre 2021. Invece l’operazione San Siro è diventata il suo Vietnam.
Il progetto di demolire il Meazza per realizzare, con la scusa del nuovo stadio, una super-speculazione da 1,3 miliardi (mega centro commerciale, torre uffici, centro congressi…) gli ha fatto perdere molti sostenitori in città e ha provocato la rottura della maggioranza di centrosinistra in Consiglio comunale (gli hanno votato contro i verdi, tre esponenti del Pd, due della sua stessa lista Sala e uno di una lista a lui collegata).
In soccorso, sono dovuti arrivare i consiglieri di Forza Italia e della lista Bernardo (il presunto candidato alternativo alle elezioni, sempre d’accordo con lui, però, sugli affari). Infine, la decisione di Vittorio Sgarbi di porre il vincolo sul Meazza bloccandone la demolizione ha chiuso il cerchio. Nei prossimi mesi i nodi arriveranno tutti al pettine. Li elenchiamo a futura memoria.
1. Il progetto di abbattere il Meazza è utile solo ai misteriosi fondi esteri attuali detentori di Milan e Inter (vedi articolo di Mario Gerevini sul Corriere Economia) che cercano di salvare i conti disastrosi con il via libera alla speculazione immobiliare da 1,3 miliardi.
2. I portabandiera dell’affare, che non serve né allo sport né alla città, sono Paolo Scaroni, eterno presidente del Milan malgrado i continui cambi di controllo societario; i lobbisti di Italia viva-Azione e l’avvocato Ada Lucia De Cesaris; e il capolista di Letizia Moratti alle prossime regionali, Manfredi Palmeri, che guarda caso è manager di M-I Stadio, la società di Milan e Inter che gestisce l’impianto di San Siro.
3. La minaccia dei club è: se non ci date lo stadio nuovo a San Siro, vi lasciamo il Meazza e andiamo a farlo a Sesto San Giovanni, così Milano perderà l’impianto delle sue squadre. Curioso: Milano può perdere centri d’eccellenza come l’Istituto neurologico Carlo Besta e l’Istituto dei Tumori, trasferiti proprio a Sesto, ma non lo stadio? E poi: i fondi esteri vadano pure a Sesto (che comunque è sempre Grande Milano) e lo costruiscano a spese loro, senza pretendere di abbattere un’icona di Milano, il Meazza, e di pagare l’operazione non con i loro soldi, ma con un regalo pubblico: i permessi per realizzare un’immensa speculazione immobiliare a San Siro su terreni pubblici.
4. La procedura normale e democratica, in una città normale e democratica, sarebbe quella di una gara internazionale per la riqualificazione e la gestione del Meazza e dell’area attorno, per scegliere la soluzione più conveniente per Milano e i suoi cittadini. In nome dell’interesse pubblico. Perché mai fare invece regali agli oscuri fondi esteri che oggi controllano (non si sa come e non si sa fino a quando) Milan e Inter? Altri soggetti interessati a riqualificare e gestire il Meazza ci sono: si è già fatta avanti, per esempio, la AsmGlobal, che gestisce centinaia di impianti sportivi nel mondo. Si confrontino dunque le proposte e poi si scelga, in nome dell’interesse pubblico, non degli interessi privatissimi di Scaroni & C.
Intanto, poiché i disastri non vengono mai soli, a Milano si è materializzato un nuovo progetto: per altri 180 mila metri cubi di cemento su 30 mila metri quadrati sopra i binari della stazione Nord di piazza Cadorna. Il sindaco “verde” (a proposito: si è poi mai iscritto Sala ai Verdi europei, come aveva annunciato?) che cosa dice del continuo consumo di suolo in una città che nel 2022 ha superato per ben 91 giorni il limite massimo di concentrazione del Pm10 nell’aria e ora aumenta il costo del trasporto pubblico?