Metti, in Bocconi, Bazoli, Vegas e il mentore della ministra Boschi
Insieme, il presidente della Consob Giuseppe Vegas, il presidente del consiglio di sorveglianza d’Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli e il professore dell’università di Firenze Umberto Tombari. L’occasione è un convegno all’università Bocconi sulla governance delle società quotate, con due docenti bocconiani e, a presiedere, il notaio e professore Piergaetano Marchetti: una buona occasione per vedere uno accanto all’altro il controllore dei mercati finanziari, il padre della più grande banca italiana e il professore-professionista che è stato il maestro-pigmalione di una ministra e di una commissaria Consob. Sì, Maria Elena Boschi, fresca di laurea, ha lavorato nello studio professionale a Firenze di Tombari. E accademicamente vicina al professor Tombari è Anna Genovese, approdata un anno fa dall’università di Verona alla Commissione di controllo della Borsa.
Civilista di successo, Tombari è il cervello di Matteo Renzi nel settore Consob & Affini. Ieri alla Bocconi ha squadernato le sue idee sui modelli d’amministrazione e controllo nelle società quotate, accanto a Vegas e Bazoli. Due grandi esperti soprattutto di controlli, il primo indagato dalla procura di Roma (per le nomine allegre in Consob), il secondo sotto attenzione della procura di Bergamo (per il “controllo” dei voti nelle assemblee di Ubi).
Al convegno bocconiano, Vegas ha raccontato lo studio realizzato dalla sua Commissione sui modelli di governance, confrontando quello tradizionale (consiglio d’amministrazione che gestisce, collegio sindacale che controlla), monistico (un solo consiglio d’amministrazione, senza collegio sindacale) e duale (consiglio di sorveglianza eletto dall’assemblea dei soci, consiglio di gestione eletto da quello di sorveglianza).
Ma torniamo alla governance. In Italia, a differenza che nel resto del mondo, prevale il modello tradizionale: su 244 società quotate, solo cinque hanno il duale e solo due il monistico. Questo, argomenta ragionevolmente Vegas, è un freno agli investimenti stranieri in Italia, in cui è preponderante un modello d’amministrazione che è quasi sconosciuto all’estero.