Scandalo a teatro: i poveri in scena nella perfetta Milano
Già mettere in scena la povertà oggi è scandalo. Far salire sul palcoscenico i poveri, gli anziani, i ragazzini, i disabili è insopportabile. Lo è in massimo grado, poi, se i poveri sono quelli di Milano, città che si racconta come mondo delle meraviglie, regno del glam e del food, dell’apericena e della rendita immobiliare. Ebbene, lo scandalo insopportabile è accaduto: al teatro Carcano, dove esattamente 130 anni fa, nel 1893, andò in scena El nost Milan, in cui Carlo Bertolazzi raccontava la Milano di fine Ottocento, che poi Giorgio Strehler ripropose sul palcoscenico del Piccolo per mostrare la Milano del Dopoguerra.
Ma oggi, oggi, è inammissibile mettere in scena una realtà oscena, ob-scena, fuori scena: le docce e la mensa dell’Opera San Francesco, i rider che attraversano a luci spente la città, il Centro Sammartini, la scuola popolare di Calvairate, le code al Pane Quotidiano, la periferia di piazza Selinunte, il mercatino delle pulci di piazzale Cuoco, l’assistenza sanitaria di Emergency al Giambellino, la Stazione Centrale, il dormitorio a cielo aperto di via Hoepli, in pieno centro. Scene oscene, che dunque devono restare nascoste e invisibili, ben coperte da un velo che, lo sappiamo, è quello dell’ipocrisia, perché le file alle mense dei poveri le vediamo tutti, ma non le mettiamo su Instagram e Tik Tok, dunque non esistono.
Qualcuno ha spezzato l’incanto. Ha rotto il tabù, sporcato, infangato, impolverato – con la polvere sul palco del Carcano che diventa scenografia – l’immagine di Milano che ritiene di meritare solo trionfi e tutt’al più qualche spot patinato, magari un sontuoso musical, o un podcast di propaganda. La colpa è di Serena Sinigaglia e Tindaro Granata, che hanno sviluppato il progetto di portare in scena El nost Milan in tre parti e in tre anni: ora “La povera gente”, l’anno prossimo “I signori”, nel 2025 la sintesi, in cui forse sopravviverà la storia di Nina e Rico raccontata da Bertolazzi.
Intanto, oggi, oggi, sul palco del Carcano sono salite ben 170 persone, uomini, donne, ragazzi, con o senza disabilità, una compagnia kolossal di non professionisti provenienti da tredici laboratori teatrali a cui fa da spirito guida Lella Costa. Hanno raccontato la Milano segreta e indicibile che deve restare nascosta.
A questo punto, però, lo spiritello del Sessantotto che torna spesso a rovinarmi la vita mi soffia nell’orecchio: “Attento, la messa in scena dei poveri è l’ultima ipocrisia per mettere a posto la coscienza di spettatori e organizzatori. Ormai la ribellione politica contro le disuguaglianze e le ingiustizie è sostituita, tutt’al più, da assistenza e volontariato: carità”.
Lo spiritello dispettoso e brechtiano mi ha ricordato quel che dice Domenico Quirico nel film di Paola Piacenza, Il fronte interno: nell’Ottocento, a Torino, c’era don Bosco, ma anche il socialismo che lavorava per diminuire le disuguaglianze; oggi invece c’è don Bosco, ma il socialismo non c’è più. A Milano c’erano l’Umanitaria e le lotte operaie, oggi c’è solo la Caritas e il volontariato. Gli operai non ci sono più, sono diventati invisibili, ma le disuguaglianze crescono di anno in anno, in una Milano che si sta londrizzando, perché è una città strutturalmente fatta per rendere i ricchi sempre più ricchi (e pochi) e i poveri sempre più poveri (e tanti).
Ho risposto al fastidioso spiritello che aveva ragione, ma poi gli ho ricordato le parole pronunciate in scena da Lella Costa, alle prese con la polvere e le macchie sul suo vestito che non si riesce a ripulire. Sono parole niente affatto tranquillizzanti, e sono macchie shakespeariane. Quelle di Lady Macbeth, che ci ricordano che la povertà oggi è vista non come ingiustizia, ma come colpa. Ma forse ci suggeriscono che anche l’accettazione dell’ingiustizia strutturale di questa città (e del mondo) è colpa.