Angelino Alfano, è Cavaliere l’ex scudo umano del Cavaliere
Non avrà il “quid”, ma ha l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Gliel’ha conferita il presidente Sergio Mattarella e Angelino Alfano la sventola con orgoglio sulla sua pagina Linkedin: “Il riconoscimento ricevuto dalla più alta carica della nostra Repubblica mi ricorda che tutti noi, indipendentemente dalle responsabilità, dai ruoli, dal tratto di strada che percorriamo in un dato momento delle nostre esistenze, abbiamo infinite possibilità di metterci a disposizione delle nostre comunità”.
Angelino, agrigentino per nascita e democristiano per eredità di famiglia, comincia giovanissimo a mettersi a disposizione: di Silvio Berlusconi. Aderisce alla neonata Forza Italia nel 1994, a 23 anni. Si fa subito notare dall’uomo di Publitalia che in pochi mesi ha costruito il partito in Sicilia, Gianfranco Miccichè, e dal regista dell’operazione, Marcello Dell’Utri. I due lo segnalano al capo, che lo prende con sé a Roma e lo sistema a palazzo Grazioli, nell’ufficetto proprio accanto al suo ufficione. Diventa il diligente segretario dell’allora Cavaliere, che ora può dire di aver raggiunto, almeno per quanto riguarda l’onorificenza.
Si era già distinto nel 2000, quando era volato a Roma con Miccichè, per spiegare a Silvio “l’operazione Cuffaro”: riportare a destra Totò “Vasa Vasa” (che in quel momento era con l’Udeur) e riconquistare la Regione (che era passata nelle mani del centrosinistra). Il blitz riesce. E l’anno dopo in Sicilia per Berlusconi è 61 a zero: conquista tutti i collegi elettorali, nessuno escluso.
In seguito Angelino, con Renato Schifani e altri variopinti amici, tradisce Miccichè togliendogli il controllo del partito nell’isola. Non tradisce invece la riconoscenza per Dell’Utri, anche dopo la sua condanna per mafia. Angelino dichiara: “Si sono costruiti teoremi per condannarlo, ma il risultato è che oggi abbiamo un’altra prova che la giustizia è malata”. Quale posto migliore per guarirla, se non il ministero di via Arenula?
Angelino ha gusti musicali che non combaciano con quelli del capo: non stravede per Apicella, ma va pazzo per Adriano Celentano e sa a memoria le canzoni di Francesco Guccini, che è corso ad applaudire dal vivo almeno sei o sette volte. Le sue caute trasgressioni musicali non gli bloccano comunque la carriera dentro Forza Italia. È diligente e la diligenza lo porta a diventare, nel 2008, a soli 37 anni, ministro della Giustizia.
Prima, Angelino era passato indenne a una “mascariata”, forse ordita da un concorrente siciliano interno a Forza Italia: nel 2002 era arrivato per posta, a selezionati destinatari, un pacchetto anonimo contenente il filmino delle nozze, celebrate nell’estate del 1996, tra Francesco Provenzani e Gabriella Napoli. Vi si vede un Angelino con la testa ancora incredibilmente zazzeruta che arriva in ritardo ai festeggiamenti, accolto da un coro di “ma che onore, ma che onore…”.
Saluta lo sposo, bacia la sposa, le porge il pacco con il regalo di nozze, poi abbraccia il padre della sposa: è Croce Napoli, capomafia di Palma di Montechiaro, curriculum criminale di tutto rispetto, con arresto per associazione mafiosa, concorso in sequestro di persona, omicidio. Alfano anni dopo spiega: ero stato invitato dallo sposo, mio amico, non conoscevo né la sposa, né suo padre.
Da ministro della Giustizia mette la sua faccia sopra tutte le “riforme” (o tentate “riforme”) distillate dall’avvocato di Silvio, Niccolò Ghedini. Ridurre le intercettazioni giudiziarie, aumentare quelle di polizia, proibire fino al dibattimento la pubblicazione di notizie provenienti da inchieste. Difende il decreto bloccaprocessi, che ne ferma centomila per impedire che arrivi a sentenza uno solo, quello a Berlusconi.
Poi il bloccaprocessi viene sostituito con il più efficiente (almeno apparentemente) “lodo Alfano”: e Angelino entra così per sempre nella storia politico-giudiziaria italiana, dando il suo nome alla legge che garantisce l’impunità al presidente del Consiglio (e ad altre tre cariche dello Stato che non ne avevano alcun bisogno). Sarà la Corte costituzionale a incenerire il suo “lodo”.
A chi gli chiede se è stato scelto come ministro per la sua fedeltà, risponde: “Ma no, sulla giustizia non c’è effetto sorpresa: chiunque sia il ministro, la linea di Forza Italia è sempre la stessa dal 1994”. Già. Intanto la sua carriera politica continua. Deputato per quattro legislature, dal 2001 al 2018, segretario del Popolo della libertà (il nuovo nome dello schieramento di Silvio), vicepresidente del Consiglio, delfino di Berlusconi – ma leader mancato per eccesso di concorrenti e carenza di “quid”.
Nel marzo 2013 è in prima fila nel gruppone di quasi 200 parlamentari che si schierano davanti al palazzo di giustizia di Milano. Protestano contro i magistrati che stanno processando Berlusconi per il caso Ruby: “Uno scandalo, lo stanno tentando di eliminare per via giudiziaria”, dichiara ai cronisti. Otto mesi dopo, a novembre, molla Silvio e fonda un partito tutto suo: Ncd, il Nuovo Centrodestra.
Gli permette di conservare la poltrona di ministro nei governi di Enrico Letta e Matteo Renzi (all’Interno) e di Paolo Gentiloni (agli Esteri). Dal Viminale, nel 2013 assiste senza battere ciglio all’espulsione dall’Italia di Alma Shalabayeva, moglie di un dissidente kazako arrestata e consegnata al Kazakistan con la figlioletta di sei anni, Alua. Nel 2015, sempre dal Viminale, annuncia tutto giulivo su Twitter l’arresto dell’uomo accusato di aver ucciso la giovane Yara Gambirasio e lo dà già per sicuro colpevole.
Nel 2019 cambia campionato: salta nel business privato, diventa socio dello studio legale Bonelli Erede e presidente del gruppo Rotelli-San Donato, il primo in Italia nella sanità privata. “La dimensione privata e professionale, che ho preferito con una scelta che confermo anche alla luce del tempo trascorso, mi appaga e gratifica”. Alle gratificazioni professionali ora s’aggiunge anche il titolo di Cavaliere.
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