“Il fronte interno”. La povertà (dimenticata dalla sinistra) diventa un film
A dispetto dei luoghi comuni, c’è molto nord, nel viaggio dentro la povertà italiana realizzato da Paola Piacenza con Domenico Quirico: Il fronte interno è un film che mostra e racconta il lato nascosto di Milano, Torino, Aosta. Anche Palermo, certo, vista dalle aule di una scuola. Ma è nelle tre città del nord, per definizione ricche e affluenti, che il racconto stupisce e spiazza lo spettatore.
I poveri – racconta Quirico – nel Medioevo erano visibili e mostrati orgogliosamente come i prediletti da Dio. Erano i ricchi a dover fare fatica, poverini, a passare dalla cruna dell’ago. Oggi invece i poveri si nascondono e sono nascosti, ignorati e censurati come una stonatura nella partitura brillante del nord ricco ed efficiente. Colpevolizzati, perché non sono stati capaci di obbedire alla prima delle regole sociali, quella che impone di raggiungere il successo.
Le immagini del film girato da Paola Piacenza mostrano ciò che succede ogni giorno nelle pieghe nascoste della nostra ricchezza, donne uomini e bambini che bussano per ottenere assistenza sanitaria al centro San Fedele di Milano, sfamati dal Banco alimentare ad Aosta, esclusi dall’onda delle trasformazioni economico-industriali a Torino.
Una folla di invisibili, fantasmi che non hanno diritto di cittadinanza nei film, in tv, nell’informazione, nella politica, se non quando scivolano nella cronaca nera. La regista compie lo scandalo indicibile di spezzare il silenzio, rompere l’interdetto, mostrarne i volti e registrarne le parole. Senza retorica, senza alcuna lezione da impartire, ma con la voglia appassionata di innescare qualche riflessione.
Quirico, abituato ai poveri dei Paesi del terzo o quarto mondo in cui sono maggioranza e “normalità”, ora s’interroga sulla loro esistenza qui, sotto i nostri occhi. Massa silenziosa e invisibile, non disposta alla ribellione collettiva, né alla rivolta individuale e feroce di Parasite.
S’interroga anche sull’attività di coloro i quali silenziosamente li aiutano, per spinta religiosa o laicamente umanistica. Necessari, benemeriti, eroici. Ma “cerotto sui mali del mondo che lascia intatto il sistema”, che “conferma l’ordine (anzi il disordine) del mondo”. Nell’Ottocento, a Torino c’era don Bosco – riflette Quirico – ma c’era anche il socialismo che lavorava per diminuire le disuguaglianze: “Oggi c’è don Bosco, ma il socialismo non c’è più”.
Il mondo è diventato post-fordista e la sinistra, dopo aver conquistato tanti diritti, da anni ha dimenticato i poveri, rappresenta altri ceti, altri interessi. E i poveri votano a destra per rancore contro chi li ha abbandonati e traditi: “Non un voto di protesta, ma di vendetta”.
Il film si chiude con un dialogo tra Quirico e il sociologo Marco Revelli (nell’immagine in alto) a Torino, in quel che resta di una grande acciaieria diventata uno scheletro di metallo a cielo aperto. Archeologia industriale, come gli operai che vi lavoravano. “Il voto populista di destra”, dice Revelli, “è un voto di vendetta: scegliere il più brutto, sporco e cattivo, dal punto di vista dell’establishment, e votarlo. Per esprimere questo rancore, questa voglia di punire chi avrebbe dovuto rappresentarti e invece ha rappresentato altri, il mondo della finanza, della comunicazione, le nuove professioni, tutto quello che è veloce e ricco, quello che fa ricchezza…”.
Restata priva di soggetti sociali da rappresentare, la sinistra non ha più “una profezia sociale, che è indispensabile per farsi ascoltare”. I poveri sono ridotti a singoli senza diritti e senza progetto. Per loro, rimane la Caritas: “San Martino che taglia il mantello con la spada e ne dà un pezzo al poveretto che è sulla strada”, commenta Quirico.
Spuntata anche la penna di chi, come lui, vorrebbe raccontare la realtà. “Non ti ascoltano più. Non che io volessi convertire le persone. Semplicemente trasmettere le emozioni, le commozioni”. Inutile. Chissà se lo stesso destino toccherà anche alle immagini di questo film, più forti delle parole scritte.
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