Frode fiscale: niente nuovo processo, non ci sono nuove prove
Silvio Berlusconi e la sua macchina di comunicazione l’hanno tenuta accuratamente nascosta per quasi tre mesi. È stato il Corriere della sera, ieri, a rivelare l’ordinanza di 51 pagine del 30 novembre 2021 in cui la Corte d’appello di Brescia rade al suolo la sua speranza di rivincita giudiziaria, ovvero la possibilità di avviare un nuovo processo per ribaltare la sentenza che nel 2013 lo ha condannato in via definitiva per frode fiscale.
In questi quasi tre mesi ha tentato il suo ritorno alla grande sulla scena politica perfino candidandosi alla presidenza della Repubblica. E i suoi hanno lasciato immaginare che la ferita della condanna sarebbe stata forse rimarginata da un nuovo processo a Brescia, con nuove prove, che avrebbero potuto capovolgere il primo verdetto e portare a una assoluzione.
Invece no. Già il 30 novembre la seconda Corte d’appello di Brescia, competente per le revisioni dei processi milanesi, aveva stabilito con parole nette e inequivocabili che la sentenza di condanna era giusta e che non ci sono elementi nuovi e “nuove prove” che giustifichino la riapertura del processo.
La condanna era stata chiesta in aula dal pm Fabio De Pasquale, era arrivata in primo grado il 26 ottobre 2012, era stata confermata in Appello l’8 maggio 2013 e suggellata in Cassazione l’1 agosto 2013. Aveva ritenuto provato che Berlusconi, con un gioco di specchi realizzato attraverso società estere, avesse nascosto al fisco italiano (e agli azionisti di minoranza di Mediaset) 368 milioni di dollari, di cui 7,3 sopravvissuti alla prescrizione e sufficienti a far condannare Berlusconi a 4 anni di carcere. Per aver “ideato e gestito a partire dagli anni Ottanta l’articolato sistema di frode finalizzato a gonfiare i costi tramite passaggi fittizi dei diritti tv tra le società del comparto riservato estero”.
Il gioco è continuato anche dopo la “discesa in campo” del fondatore di Forza Italia: “Sarebbe comunque rimasto il gestore, il referente e il beneficiario principale di questo apparato frodatorio anche nel periodo successivo e specificatamente tra il 1995 e il 1998, epoca alla quale si riferisce l’acquisizione dei diritti televisivi a prezzi gonfiati poi confluiti, con il sistema dell’ammortamento pluriennale, nelle dichiarazioni fiscali presentate da Mediaset negli anni 2001, 2002 e 2003”.
Nelle richieste dei suoi legali non ci sono “nuove prove” che permettano di rifare il processo. La richiesta di revisione è “inammissibile”, non è “sostenuta da alcuna prova nuova”, ma è soltanto un “mero tentativo di riproporre deduzioni difensive già affrontate e risolte in senso negativo, il cui esame si risolverebbe in un inammissibile quarto grado di giudizio”. Così scrivono il presidente della Corte Giulio Deantoni con il relatore Ivano Marco Bragantini e la giudice Ilaria Sanesi. Sconfitta piena per Berlusconi, condannato anche a pagare 1.000 euro alla Cassa delle ammende.
Prove nuove? Erano soltanto sentenze successive, come quella del processo Mediatrade (in cui erano stati assolti Fedele Confalonieri e il figlio Piersilvio Berlusconi), o come la sentenza del Tribunale civile di Milano che aveva giudicato un contenzioso tra Mediaset e Frank Agrama, il produttore cinematografico collaboratore e poi coimputato di Berlusconi nel processo sui diritti tv. I giudici escludono che quelle sentenze di assoluzione abbiano a che fare con i fatti che hanno portato alla condanna dell’ex presidente del Consiglio: “Si impone in modo macroscopico il fatto che da un lato queste sentenze hanno valutato la condotta di imputati diversi da Berlusconi, e dall’altro lato hanno riguardato fatti ontologicamente diversi e cronologicamente commessi in periodi diversi”.
Berlusconi si era anche lamentato di essere stato giudicato in Cassazione nel 2013 dalla sezione feriale, venendo così “sottratto al giudice naturale”, con il risultato di aver “subito una indebita compressione dei tempi di difesa” e di “essere stato giudicato da un magistrato prevenuto”: doglianze inammissibili, per la Corte, perché “non è sufficiente che la violazione di questi principi venga argomentata dal condannato, ma è necessario che risulti accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”. È questa ora l’ultima spiaggia per Berlusconi, ma il suo giudizio non potrà comunque ribaltare la condanna.
La richiesta di revisione è “inammissibile”, non è “sostenuta da alcuna prova nuova”, è soltanto un “mero tentativo di riproporre deduzioni difensive già affrontate e risolte in senso negativo, il cui esame si risolverebbe in un inammissibile quarto grado di giudizio”