“Scontro magistratura-politica”? No, è bullismo delle classi dirigenti
Niente, in Italia c’è lo scontro magistratura-politica. Dicono. Iniziato 30 anni fa, con Mani pulite. Funziona così: 1. Il politico compie un reato; 2. Il magistrato lo indaga perché in Italia c’è l’obbligatorietà dell’azione penale; 3. Il politico strilla e attacca la magistratura; 4. Dunque c’è lo scontro magistratura-politica!!! 5. Quindi bisogna fare la Riforma della Giustizia (cioè rendere più difficile perseguire i reati dei potenti). Lo sentiamo ripetere da 30 anni. E invece, smettere di compiere reati, no?
Naturalmente bisogna chiarire cose ovvie, tipo che il politico che viene indagato non è colpevole fino a sentenza definitiva. Ma intanto il magistrato lo deve indagare, una volta venuto a conoscenza della notizia di reato, e se non lo facesse compirebbe lui un reato. Poi per lo più il reato contestato cade in prescrizione (e ora arriverà la sua brutta copia, l’improcedibilità), ma non importa: in Italia c’è la guerra magistratura-politica.
Questa storia dello scontro tra magistrati e politici mi affascina da anni, mi sprofonda in un labirinto di pensiero che annoda il diritto, la politica, la sociologia, ma finanche la psicologia, la logica, la retorica, la psichiatria: perché se capisco i politici che difendono se stessi, mi danno le vertigini quelli che li difendono gratis, forse solo per sindrome di Stoccolma. Mi chiedo: se i ladri d’auto attaccassero i giudici che li incriminano, parleremmo di uno scontro magistratura-ladri d’auto? No. Diremmo, come suggeriscono logica e buon senso, che la magistratura è attaccata perché fa il suo mestiere, perseguendo (non sempre, purtroppo, e non abbastanza) i ladri d’auto.
Ma se a essere indagati sono i politici, allora è guerra magistratura-politica. Eppure la guerra si fa in due, l’un contro l’altro armato. Qui invece la magistratura fa il suo lavoro, cioè perseguire i reati (non sempre, non abbastanza e non sempre bene): reati che oltretutto sono stabiliti dalla politica, con leggi votate dal Parlamento, non dalla magistratura; e trova un potere, quello politico, ma anche quello economico-finanziario, che reagisce attaccando i magistrati e ripetendo che fanno “giustizia a orologeria” (in Italia c’è sempre un’elezione in vista), che sono “toghe rosse”, che vogliono fare “un golpe giudiziario”, che vogliono sostituirsi al potere politico.
Ora, se un bullo mena un ragazzino nel cortile della scuola, non è in atto una guerra tra bullo e ragazzino, ma un attacco del bullo al ragazzino. Ecco, la politica italiana da 30 anni compie atti di bullismo nei confronti di un potere dello Stato, quello che la Costituzione vuole impegnato nel controllo di legalità, affinché la legge sia uguale per tutti. Ma niente da fare: i politici e i loro (per me incomprensibili) follower dicono che c’è lo scontro magistratura-politica. Intendiamoci: molti magistrati non fanno bene il loro lavoro, alcuni sbagliano, altri per non sbagliare stanno fermi, altri ancora sono ormai così “educati” dal bullismo delle classi dirigenti da stare alla larga dai potenti, per non rovinarsi la vita.
Ma la politica attacca non i magistrati inetti o mascalzoni (che pure ci sono), bensì quelli che tentano di far valere il principio fondamentale della democrazia, che la legge è uguale per tutti. Buoni sono invece, per molti politici, i magistrati morti, o quelli obbedienti al potere, o quelli che si candidano in Parlamento per poi mazzolare i loro ex colleghi. Perfino Palamara, reo confesso di aver ridotto il Csm un mercato delle vacche dove spartire le poltrone, è diventato un eroe per i teorizzatori della guerra tra magistratura e politica; invece negli anni si era trasformato in un infiltrato della politica nella magistratura, per aiutare la (cattiva) politica a raggiungere il fine di sempre: non essere soggetta al controllo di legalità, ma avere magistrati “amici”, obbedienti non alla legge, ma al potere.