La partita per salvare San Siro è iniziata nei giorni delle feste natalizie. Sono stati depositati due ricorsi al Tar, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, che chiedono l’annullamento della delibera del 5 novembre 2021 con cui la giunta di Giuseppe Sala ha concesso la “dichiarazione d’interesse pubblico” al progetto presentato da Milan e Inter. Un progetto che prevede di abbattere lo stadio Meazza e di cementificare l’area con nuovi grattacieli per uffici e centri commerciali.
Un affare privato, un interesse privatissimo, che serve alle due società per ora proprietarie delle due squadre (un fondo finanziario Usa e una azienda cinese) per uscire dalla crisi, risanare i loro conti in rosso e poter poi vendere i club. Il tutto a spese nostre, dei cittadini di Milano, visto che i terreni su cui si dovrebbe realizzare la speculazione immobiliare sono di proprietà comunale, come pure il Meazza, “la Scala del calcio”, uno dei simboli della città.
Il primo ricorso è firmato dal Gruppo Verde San Siro, dall’ex consigliere comunale Basilio Rizzo e da un gruppo di cittadini milanesi e di residenti del quartiere ed è stato presentato dagli avvocati Stefano Nespor e Federico Boezio; l’altro, firmato dal comitato Sì Meazza, dall’ex vicesindaco di Milano Luigi Corbani, dal Coordinamento San Siro e da alcuni cittadini, è stato presentato dagli avvocati Veronica Dini, Roberta Bertolani e Felice Besostri.
La famosa delibera del 5 novembre dovrebbe diventare testo di studio obbligatorio per chi vuole occuparsi di pubblica amministrazione: è un soufflé, un pasticcio contraddittorio, confuso e incongruo che passerà alla storia. È preceduta da almeno cinque relazioni che mettono in dubbio l’interesse pubblico e la congruità del progetto dei due club.
Gli uffici comunali ne rilevano le criticità, quello dell’Urbanistica come quello della Mobilità e trasporti, mentre quello della Transizione ambientale sottolinea le preoccupazioni per un’ulteriore operazione immobiliare e il pesante inquinamento da cantiere (alla faccia della transizione verde); la direzione Patrimonio immobiliare del Comune, poi, sostiene apertamente “la non congruità” dell’operazione economica che porterebbe il Comune a perdere per sempre un suo bene patrimoniale, lo stadio Meazza che rende 10 milioni l’anno alle casse comunali, in cambio di una rata annua di 2,7 milioni che i club s’impegnano a pagare.
Parere critico anche quello della Ats, tenuta a pronunciarsi per gli aspetti che riguardano la salute dei cittadini. Dunque: in giunta arrivano cinque pareri degli uffici che se non sono dei “no” sono almeno dei “ni”; ma niente paura, il sindaco verde, il grande manager, chiede il “sì”, un bel sì pieno, che tutti i suoi assessori, grati per essere stati appena da lui nominati, pronunciano con voce forte e chiara (tranne una nominata, la verde assessora all’Ambiente Elena Grandi, che non si presenta alla riunione; e chissà come la spiegherà ai suoi elettori).
Ma a che cosa hanno detto sì, quel giorno, Sala e i suoi obbedienti assessori? A un progetto che ancora non esiste. Ci sono solo dei rendering, dei disegni colorati che prevedono il futuro mostrando una cattedrale nel verde della foresta pluviale, come hanno ironizzato i social. Un pasticcio anche il richiamo alla “legge stadi” del 2013, che permette a chi costruisce un nuovo impianto di cementificare l’area attorno. Ma quella legge può scattare soltanto se si dimostra che il Meazza non è più utilizzabile né rinnovabile (e così non è). E poi: l’articolo della “legge stadi” richiamato dalla delibera-pasticcio è stato abrogato nel 2021 e sostituito con articoli poi sospesi fino al 2023. Un soufflé che ora rischia di sgonfiarsi.
Il prodigioso nuovo rendering fatto circolare dalle società e ridicolizzato sui social: il nuovo stadio pare immerso, invece che nel cemento reale della città, nel verde di una foresta fantastica (clicca per ingrandire).
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