Fa gaffe anche sull’anarchico Pinelli, il sindaco Giuseppe Sala (“Pinelli è uno degli strascichi della strage”, ha detto maldestramente il 12 dicembre in piazza Fontana, prima di aggiungere pure che “lo sciopero è probabilmente sbagliato” ed essere sommerso dai fischi). Intanto continua a incassare colpi su San Siro. Si sono schierati contro l’abbattimento dello stadio Meazza anche Gianni Rivera e Sandro Mazzola. E Vasco Rossi ha celebrato sui social la “Scala del calcio” in cui ha tenuto concerti memorabili.
Stanno per partire un ricorso al Tar contro la delibera di giunta che regala la dichiarazione di “interesse pubblico” a un’operazione in cui si vede soltanto l’interesse privato di due società estere che vogliono fare un affare immobiliare; e un esposto alla Corte dei conti per danno erariale subìto dal Comune di Milano e provocato dalle scelte del sindaco. Stasera, poi, 17 dicembre, succederà una cosa che a Milano non si vedeva da tempo: ci sarà un’assemblea cittadina che darà il via alla campagna per il referendum contro l’abbattimento del Meazza.
In questo clima, Sala comincia a mostrare segni di nervosismo. Ubriacato dalla vittoria elettorale al primo turno (ma lo ha votato soltanto un quarto dei milanesi, con astensionismo record), ha sottovalutato il problema San Siro. Il Meazza è in buona salute: ha tutti i requisiti Uefa, è stato confermato idoneo per altri dieci anni, è candidato a ospitare la cerimonia d’apertura delle olimpiadi 2026.
Potrebbe essere eventualmente arricchito (vedi progetto Aceti-Magistretti) costruendo al posto del terzo anello una galleria con 30 mila metri quadrati di spazi commerciali, ricreativi, ristoranti eccetera: gli stessi previsti nel progetto di nuovo stadio (che costerebbe più del doppio) e con lo stesso rendimento per gli investitori. Questo dimostra che al Meazza non si può applicare la legge sugli stadi, che scatta soltanto in caso di impianti irrecuperabili.
Se poi i club vogliono costruirsi uno stadio nuovo, lo facciano pure: ma non su terreni pubblici e a nostre spese. Quello che le attuali proprietà di Milan (il fondo americano Elliott) e Inter (i cinesi di Suning) vogliono è incassare al più presto i diritti volumetrici a costruire attorno allo stadio grattacieli, uffici, spazi commerciali e ricreativi, per risanare così i loro conti pesantemente in passivo e poi vendere le squadre.
Il progetto dello stadio è solo un innesco, uno specchietto per le allodole, un imbroglio: serve alle due società straniere soltanto per ottenere – grazie alla complicità di Sala – quei diritti volumetrici. È un’operazione immobiliare e finanziaria, non sportiva. È di fatto un aiuto pubblico a due società private estere. E l’Unione europea non è contraria agli aiuti pubblici e ai salvataggi di Stato? È anche un danno erariale: dal Meazza, il Comune incassa 10 milioni l’anno d’affitto; dal nuovo stadio otterrebbe una rata annua di 2,7 milioni.
Ma poi: Milano ha davvero bisogno di un ennesimo distretto terziario e commerciale (da costruire attorno allo stadio per finanziare l’operazione), nell’era dell’e-commerce e dello smart working? La “transizione ecologica” di Sala si fa continuando il consumo di suolo e la cementificazione delle aree verdi? Si fa abbattendo un edificio che è patrimonio comunale (oltre che un simbolo della città), provocando per almeno due anni 230 mila viaggi di camion inquinanti (200 al giorno) e accumulando 180 mila metri cubi di macerie da smaltire chissà dove? Si fa riducendo il verde attuale dell’area (5,5 ettari) ai 2,6 ettari del nuovo progetto (il resto è verde di copertura di tetti, aiuole e terrazzi). Decidano i milanesi: il referendum è la strada giusta per scegliere il futuro del Meazza e dell’area di San Siro.
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