Gratteri: “Al nord, sono gli imprenditori a ‘chiamare’ la ’ndrangheta”
La mafia uccide meno e fa più affari. Anche nelle regioni del nord in cui si è ormai saldamente insediata. Lo racconta il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, con Antonio Nicaso, nel nuovo libro Complici e colpevoli. Come il Nord ha aperto le porte alla ’ndrangheta.
Dottor Gratteri, sono solo “infiltrazioni”?
Direi che ormai bisogna parlare di radicamento. Le mafie e, in modo particolare la ’ndrangheta, si sono infiltrate in molte regioni del nord negli anni 50-60 e ’70, trovando terreno molto fertile.
Com’è stato possibile che un’organizzazione criminale con la testa in Calabria sia diventata la mafia più potente nelle regioni ricche del nord?
È possibile, soprattutto se si tiene conto che anche in regioni come Lombardia, Emilia, Liguria, Val d’Aosta, Piemonte, Veneto e Trentino Alto Adige la ’ndrangheta ha trovato imprenditori e politici che hanno agito secondo logiche di convenienza. Come è successo al Sud, le mafie al nord sono state colpevolmente sottovalutate e successivamente legittimate sul piano economico e politico.
Le ’ndrine sono arrivate al Nord per l’effetto, come dice qualcuno, di un “contagio” dall’esterno, causato dalla pratica del soggiorno obbligato dei mafiosi?
Con il professor Nicaso abbiamo visto che la metafora del contagio non regge proprio. Il soggiorno obbligato non giustifica il radicamento mafioso. A garantirlo sono state le relazioni, i servizi offerti agli imprenditori soprattutto nel settore dell’edilizia.
Quali business, legali e illegali, praticano i gruppi di ’ndrangheta insediati nelle regioni del Nord?
In alcuni casi hanno iniziato a vendere prima eroina e poi cocaina, in altri a garantire manodopera a basso costo e servizi a prezzi stracciati, come il trasporto degli inerti. L’edilizia ha fatto da traino, ma la droga, soprattutto la cocaina, ha garantito gli investimenti successivi, quelli che hanno portato i prestanome delle cosche a conquistare fette di mercato nell’ambito dell’edilizia, dei servizi, della ristorazione e del mercato immobiliare.
Quanto pesano finanziariamente i boss del Nord?
Oggi sono molto potenti. Sono gli unici che hanno grandi liquidità e riescono a rilevare aziende in difficoltà soprattutto a causa dell’emergenza sanitaria ed economica. Gestiscono la loro ricchezza in modo oculato, cercando di evitare il sequestro e la confisca dei beni. Spesso vanno alla ricerca di Paesi meno resilienti nella lotta ai patrimoni mafiosi. In Europa, come ricordiamo nel libro, si riesce a confiscare meno dell’1% dei soldi e dei beni accumulati dai mafiosi.
Che rapporti hanno stretto con i poteri locali, gli imprenditori, i professionisti, i politici?
Se non avessero avuto la capacità di stringere relazioni con sfere della politica, dell’economia e della finanza, le mafie sarebbero rimaste criminalità organizzata, facili da contrastare e da combattere. Al Nord la politica si è dimostrata permeabile in tante occasioni, come dimostrano anche i consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose.
La politica sta combattendo la mafia?
Sulle ultime riforme della giustizia mi sono più volte espresso. Purtroppo nessuna ha aiutato nella lotta alla mafia. Anzi, in certi casi portano a un aggravio incredibile. Pensi solo alla previsione della cosiddetta udienza filtro per il dibattimento, prevista dalla riforma Cartabia. Ma chi la fa in tribunali con dieci persone? Impossibili, bloccherà tutto con inevitabili conseguenze anche sui processi alla criminalità organizzata. Potrei fare anche molti altri esempi ma è inutile. Sarebbe necessaria una riforma d’insieme che consenta una reale velocizzazione, dalle notizie di reato fino alla Cassazione. Ma non vedo una reale volontà in questa direzione.
A Milano, diventata probabilmente la capitale della ’ndrangheta al Nord, è ora libero il posto di procuratore della Repubblica. Perché lei non ha fatto domanda per continuare a Milano il lavoro che ha iniziato in Calabria?
In questo momento storico ho preferito restare nell’ufficio che dirigo da cinque anni per varie ragioni.
Spera invece di poter diventare procuratore nazionale antimafia?
Certo che lo spero, altrimenti non avrei fatto domanda. Non faccio domande per “sondare” il campo, ma per i posti per i quali sono realmente interessato. Lo dimostra il fatto che non ho fatto domanda alla Procura di Milano.