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Tina Anselmi, che vita: Resistenza, Costituzione, lotta alla P2

Tina Anselmi, che vita: Resistenza, Costituzione, lotta alla P2 1986 Roma, congresso della Democrazia Cristiana. Nella foto Tina Anselmi

La Costituzione era il suo Vangelo civile. La Costituzione “nata dalla Resistenza”: la citava spesso e la usava come bussola, come punto di riferimento quando doveva prendere decisioni politiche. Tina Anselmi se n’è andata nella notte di lunedì, a 89 anni, dopo una malattia lunga e una vita intensa. Nel ricordarla, né il presidente del Consiglio né il Tg1 hanno fatto cenno all’incarico più significativo della sua carriera, la presidenza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, che guidò tra il 1981 e il 1985. Eppure è lei stessa, nel libro scritto nel 2006 con Anna Vinci (Storia di una passione politica, Sperling & Kupfer) a raccontare che “ci sono esperienze professionali, ma anche private, che si radicano nella memoria e che nel tempo si illuminano, lasciando sullo sfondo tutto il resto… Questo è quanto mi capitò quando fui presidente della commissione P2. Anni intensi, difficili. Anni di lavoro, di speranza”.

Tina nasce nel 1927 a Castelfranco Veneto. Famiglia cattolica in cui circolavano idee socialiste e saldamente antifasciste. Studia da maestra a Bassano del Grappa e a 17 anni decide di entrare nella Resistenza. Diventa staffetta partigiana, nome di battaglia “Gabriella”. S’iscrive nel 1944 alla Democrazia cristiana. Dopo la Liberazione, si laurea all’Università Cattolica di Milano. Fa la sindacalista, nella Cgil prima e poi, dalla sua fondazione, nella Cisl, dirigente dei tessili e in seguito degli insegnanti elementari. Dal 1958 s’impegna nel partito, incaricata nazionale dei giovani democristiani, vicepresidente dell’Unione europea femminile, componente del Consiglio nazionale della Dc. Nel 1968 è eletta deputata. Si occupa di lavoro, sanità, donne e famiglia. Si deve a lei la legge sulle pari opportunità.

Nel 1976 diventa la prima donna ministro in Italia, assumendo il dicastero del Lavoro nel terzo governo Andreotti. Poi è due volte ministro della Sanità e uno degli autori della riforma che introduce il Servizio Sanitario Nazionale. Quando scoppia lo scandalo della P2 e in Parlamento nasce la Commissione d’inchiesta sulla loggia segreta di Licio Gelli, viene scelta come presidente. La conduce in modo esemplare e inflessibile, mentre attorno a lei molti vorrebbero troncare, sopire e dimenticare. “Quante volte mi sono sentita dire: Ma cosa vuole questa Tina? Che fissazione questa Anselmi su Gelli e la massoneria!”. Va avanti imperterrita, cercando di strappare il velo di opacità che continuava – e continua – a coprire quel gruppo massonico che si era impossessato dello Stato. Ottiene molti buoni risultati, contenuti nella monumentale documentazione raccolta dalla Commissione P2.

Ma sa che non tutto è stato svelato. “La nostra Costituzione”, scrive (eccola, la bussola), “dà spazio alle associazioni, purché non siano segrete, perché la segretezza è il contrario della trasparenza, nelle istituzioni e delle istituzioni, e quindi della democrazia”. Bisognava fare di più: “I gran maestri della massoneria ci dissero che gli affiliati erano molti di più di quelli raccolti nell’elenco trovato a Castiglion Fibocchi, erano intorno ai 1500-2000. Ed è molto grave che sia rimasta, a tutt’oggi, un’area coperta, e in tal modo si possa continuare a esercitare un gioco di ricatti tra ‘coperti e scoperti’. Il ricatto può essere all’origine della corruzione, del degrado delle istituzioni in una democrazia”.

E ancora: “Il ricatto ha in sé una carica eversiva pericolosissima, in politica bisogna guardarsi dal dare spazio anche solo al ricatto di una persona, e non solo per un fatto morale, soprattutto se il ricattato ha responsabilità di governo. Rischieremmo di essere rappresentati da una persona le cui decisioni non poggiano sull’interesse del Paese, ma sul suo personale e, cosa gravissima, su un interesse che è riflesso di altri interessi, che restano nell’ombra. Senza trasparenza, la democrazia agonizza”.

Nel suo libro ha risposto alla domanda che sentiva risuonare attorno a sé. “Ma cosa vuole questa Tina? Vorrebbe che il suo lavoro avesse un senso. Vorrebbe non trovarsi esposta alle denunce – ne ho avute tre da parte dei piduisti per il modo in cui conducevo le indagini… Ma cosa vuole questa Tina? Vorrebbe che la sua famiglia potesse vivere in pace. I miei cari hanno subìto un attentato, che fortunatamente non è andato a buon fine. Abbiamo scoperto casualmente due chili e sette etti di tritolo nel giardino dell’abitazione di mia sorella Maria, che confina con la casa dove tuttora vivo, qui a Castelfranco”. Inflessibile contro i “ritocchi alla Costituzione” indicati nel quarto punto del Piano di rinascita di Gelli: “Alcuni ritocchi, in un testo tanto calibrato, non ne comportano alla fine lo svuotamento?”.

Per il suo lavoro coraggioso, ha ottenuto in vita più attacchi che ringraziamenti. Tardivo il francobollo che le è stato dedicato solo pochi mesi fa. Meglio il tifo che ogni tanto si organizzava attorno alla parola d’ordine: “Tina Anselmi for president”. Cominciò il settimanale satirico Cuore, nel 1992, a candidarla presidente della Repubblica e allora i parlamentari della Rete la votarono pure. Ci riprovarono nel 2006 alcuni blog con “Tina Anselmi al Quirinale”.

Staffetta partigiana, sindacalista, militante per la parità delle donne, sostenitrice della sanità pubblica, combattente per la difesa della Costituzione e la trasparenza della democrazia contro l’opacità delle logge. Una democristiana di ferro, donna della Prima Repubblica di cui la nostra Repubblica – seconda o terza, non sappiamo, passata attraverso P2, P3, P4 e P chissà cosa – avrebbe ancora bisogno.

Il Fatto quotidiano, 2 novembre 2016
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