AFFARI

Eni, pasticcio Grosso per la email farlocca: “Sapevamo che era falsa”

Eni, pasticcio Grosso per la email farlocca: “Sapevamo che era falsa”

di Gianni Barbacetto e Antonio Massari /

Ex vicepresidente del Csm, scomparso nel 2019, Carlo Federico Grosso è stato tra i più noti penalisti italiani. Nel giugno 2017, viene sentito come persona informata sui fatti dalla Procura di Milano. Il procuratore aggiunto Laura Pedio e il sostituto Paolo Storari stanno indagando sul depistaggio ordito dall’ex legale di Eni, Piero Amara, il quale, corrompendo l’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, aveva fatto istruire un fascicolo farlocco su un inesistente complotto ai danni dell’amministratore delegato del colosso petrolifero, Claudio Descalzi.

Operazione finalizzata, secondo l’accusa, a indebolire il processo in cui Descalzi era imputato a Milano, con l’accusa di corruzione internazionale, per l’acquisto del giacimento petrolifero nigeriano Opl 245. Tra gli imputati c’era anche l’ex funzionario Eni Vincenzo Armanna che, a sua volta, era stato sentito come testimone proprio nel fascicolo inventato da Amara e creato dal pm Longo. Armanna e Descalzi il 17 marzo 2021 sono stati assolti in primo grado dall’accusa di corruzione.

Ma perché Grosso viene sentito in Procura? Con il collega Nerio Diodà, del collegio difensivo Eni, il 6 marzo 2017 aveva depositato alla Procura di Milano una email firmata da Armanna. Depositandola, i due avvocati avevano spiegato che “Eni non è in grado di valutare né se si tratti di documenti autentici né se, ammesso che siano autentici, gli stessi riportino fatti corrispondenti o meno a verità”. Però la depositano, “nell’ambito di un rapporto istituzionale di lealtà e collaborazione” con la Procura.

Che cosa c’è scritto in questa email? Armanna vi sostiene che il suo avvocato, Luca Santa Maria – che aveva appena rinunciato al mandato, essendosi rifiutato di depositare a Milano gli atti del fascicolo di Siracusa come chiesto dal suo cliente – in passato l’aveva spinto a rendere dichiarazioni false, a Milano, contro Descalzi e l’Eni. Non solo, in questa condotta si era anche fatto portatore delle “istanze” del pm Fabio De Pasquale, in cambio di un trattamento di favore da parte del magistrato milanese.

In altre parole: Santa Maria si sarebbe macchiato di “infedele patrocinio” e De Pasquale non sarebbe stato corretto. Armanna però non invia la email a Grosso. La invia al suo codifensore, Fabrizio Siggia, che lo assisteva con Santa Maria e poi — sostenendo di averlo fatto per errore — all’avvocato Giuseppe Lipera che, a sua volta, la gira a Grosso.

Armanna, Lipera, Amara, l’ex capo dell’ufficio legale di Eni Massimo Mantovani, più altre tre persone, sono ora accusate di aver concorso nella calunnia di Santa Maria: il contenuto della email di Armanna era infatti falso e, secondo l’accusa, mirava da un lato a “far cadere le accuse che” lo stesso Armanna “aveva formulato nei confronti dei vertici Eni nel processo Eni-Nigeria” e, dall’altro, a “creare le condizioni per un procedimento disciplinare nei confronti di De Pasquale”.

Ecco la versione di Grosso dinanzi alla Procura. Spiega di aver sentito Lipera, per telefono, una sola volta in vita sua. E di essere stato avvertito della vicenda da un altro avvocato dell’Eni, Mario Maspero, il quale, pur essendo estraneo ai fascicoli di Milano e Siracusa, il 28 febbraio 2017 l’ha chiamato sul suo cellulare: “Mi ha detto che un certo avocato Lipera gli avrebbe fatto sapere di avere la disponibilità di qualcosa che poteva interessarmi (…). Ho telefonata a Lipera (…) che mi ha detto (…) che aveva ricevuto una lettera da tale Armanna (…) una lettera molto strana che poteva essere di mio interesse senza specificare altro (…). Mi chiese se poteva mandarmela, niente di più”.

Dopo averla ricevuta, Grosso fa una supposizione che rivela ai pm di Milano: “La mail sembrava inserita ad arte, c’era qualcosa che non quadrava e non mi convinceva. Dopo averla letta sono rimasto sbalordito perché era un attacco di Armanna al suo avvocato Santa Maria e alla Procura di Milano (…). Ho pensato o che la email fosse materialmente falsa o che il contenuto non fosse vero o che la mail fosse stata costruita ad hoc o che Armanna avesse potuto dire cose non vere perché è strano che un avvocato si comporti nel modo descritto da Armanna”.

A quel punto, il capo dell’ufficio legale Eni, Marco Bollini, al quale spiega che pensava di “depostarla alla Procura di Milano proprio perché non si capiva cosa fosse e nello spirito di massima lealtà” con i magistrati. E così avviene. “Anche l’avvocato Diodà – continua Grosso – era d’accordo sulla necessità di depositarla in Procura ed era molto sorpreso e non capiva per quale motivo ci fosse stata data”.

Grosso sostiene che una spiegazione è riuscito a darsela tempo dopo, leggendo gli atti del fascicolo di Siracusa: “Ho appreso che Massimo Gaboardi (uno degli imputati per il depistaggio, difeso da Lipera, anch’egli accusato della calunnia a Santa Maria, ndr) aveva utilizzato quella email per chiedere l’astensione di De Pasquale nel procedimento di Siracusa. Ho pensato che la trasmissione della email a me poteva essere destinata a indurmi ad assumere inziative analoghe nel processo Nigeria e che volevano utilizzare me per ottenere quel risultato. Forse (Lipera e Gaboardi, ndr) volevano strumentalizzarci per ottenere l’estromissione di De Pasquale. Preciso che si tratta di una mia supposizione (…) priva di riscontro”.

Ma allora perché non chiese a Lipera il motivo dell’invio di quella email? Grosso spiega che non è suo costume chiedere cose che non gli vengono dette. Riteneva sufficiente depositarla alla Procura, che avrebbe fatto le indagini. La Procura gli fa notare che, in quella forma, non era possibile alcuna indagine e che il fascicolo viene infatti aperto soltanto dopo la denuncia di Santa Maria. Grosso spiega allora che l’avevano depositata spinti da una “preoccupazione”.

Quale? Non ricorda. O forse sì: per evitare l’accusa di non averla depositata. “Avete considerato la possibilità che il contenuto della email potesse tornarvi utile nel procedimento Nigeria”, chiede la Procura? “Non abbiamo mai pensato che quella email potesse avere un contenuto vero – risponde Grosso – perché mai un avvocato e la Procura avrebbero potuto comportarsi in quel modo”.

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La replica di Eni

In merito all’articolo “Eni depositò una email fasulla. Il legale ai pm: Lo sapevamo”, a firma di Gianni Barbacetto e Antonio Massari, Eni manifesta la propria indignazione per il nuovo palese tentativo compiuto dal vostro giornale, tramite la titolazione, di orientare contro la reputazione di Eni e a favore di tesi accusatorie infondate un atto di totale trasparenza compiuto dai legali difensori della società nel corso delle indagini sul cosiddetto depistaggio. Un’azione, per di più, spiegata nei dettagli nel testo dell’articolo, che in alcun modo viene rispecchiato dal titolo accusatore.

Eni ribadisce di essere parte lesa nell’ambito della cosiddetto depistaggio e confidiamo che l’autorità giudiziaria possa finalmente e tempestivamente fare chiarezza sulla sua vera origine, vale a dire gli interessi economici personali di Amara, Armanna e degli altri soggetti coinvolti. I difensori di Eni non hanno depositato alcuna email fasulla nell’ambito delle indagini, e men che meno pianificato di farne utilizzi impropri, al contrario segnalando agli inquirenti un documento rispetto al quale non erano in grado in quel momento, e lo hanno dichiarato, di stabilire l’autenticità e la veridicità.

Eni rispetta totalmente la libertà di stampa e per anni si è difesa attraverso repliche articolate inviate al vostro giornale, sopportando continui attacchi all’azienda e alla reputazione delle sue persone. Siamo costretti oggi ad aggiungere questo ennesimo atto diffamatorio della vostra testata agli atti della causa civile che abbiamo avviato in conseguenza della vostra campagna ai danni della società (e delle persone ingiustamente coinvolte dalle vostre infondate ipotesi propalate ai lettori anche attraverso una titolistica fasulla): Eni è gravemente danneggiata dalla pubblicazione di tesi accusatorie spesso date per acclarate dal vostro giornale, non riscontrate in fase di indagine e men che meno dai Tribunali (che quando finalmente hanno potuto pronunciarsi, le hanno giudicate del tutto infondate).

Vi chiediamo di pubblicare questa nostra precisazione.

Erika Mandraffino
Director External Communication

 

Il Fatto quotidiano, 30 giugno 2021
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