Le prime furono le tintorie, che tentarono di far dimenticare il loro utilizzo di prodotti tossici e inquinanti scrivendo sulle vetrine: “Lavanderia ecologica”. Poi venne, più in grande, la “benzina verde”, che ammorba l’aria e i polmoni solo un po’ meno della benzina che contiene piombo, ma è diventata “verde”. Infine fu inventata la parola per dirlo: greenwashing, cioè la strategia di comunicazione con cui proprio chi inquina si dice ecologico e si vanta come grande amico dell’ambiente. La realtà resta nera, ma il marketing è verde. Gli spot scoppiano di bimbi sorridenti, cieli limpidi e mari puliti. Un pubblicitario americano, Jerry Mander, la definì “ecopornografia”.
Eni, che poverina estrae e vende petrolio, mica petali di rosa, tenta oggi di farsi un’immagine verde con un’imponente campagna pubblicitaria in cui dice che “Eni + Silvia è meglio di Eni”. Perché Silvia chiude il rubinetto di casa e risparmia acqua. Ora è partita anche la campagna verde del Comune guidato da Giuseppe Sala: “Milano Mix”. Nessun argomento, nessun dato, nessun progetto, nessun impegno.
Solo immagini carine, coppie di concetti illustrati da coppie d’immagini: api che ronzano e droni volanti, una testina stampante e una rosa che sboccia (“tecnologia/natura”), alti fusti d’albero e grattacieli urbani (“foresta/città”), pesci che nuotano nel mare e cupola della Galleria Vittorio Emanuele (“natura/città”), ruota di bicicletta che gira e oblò di lavatrice in movimento (“mobilità/energia”)… Messaggio finale: “Milano Mix. La transizione ambientale”.
Bello. Rasserenante. Un Mulino Bianco metropolitano. Alla fine, ti resta l’impressione che sia inevitabile mischiare il verde e il nero, convivere con il nemico. Un veltroniano “ma anche”, in attesa che la città si salvi (o collassi) e che il pianeta sia salvaguardato (o muoia). Parola magica: “Transizione”. Termine centauro, ambiguo per definizione, ponte tra un passato da accettare e un futuro da sperare, ma che non si sa come conquistare e quanto lontano sia.
È l’espressione del momento: Mario Draghi ha fatto del ministero della Transizione ecologica (ancora tutto da definire) la carta jolly per convincere Beppe Grillo e i suoi ad appoggiare il nuovo governo. E Giuseppe Sala ha rivendicato di averci pensato prima lui, già nel luglio 2019, istituendo l’assessorato alla Transizione ambientale. Come Pippo Baudo: “L’ho inventato io!”.
In verità, a Palazzo Marino si fa fatica a trovare traccia del nuovo assessorato. Quando nel 2019 Pierfrancesco Majorino ha lasciato il suo assessorato alle Politiche sociali per andare al Parlamento europeo, il sindaco ha fatto una redistribuzione di deleghe, nominando nuovi assessori e accorpando le deleghe che avevano a che fare con l’ambiente: non assegnandole però a un assessore con una sua struttura, ma tenendosele lui nel cassetto. Un assessorato fantasma.
Che ora però rivendica come un primato: “Il Comune di Milano — prima città in Italia — ha istituito nel luglio 2019 l’assessorato alla Transizione ambientale. Milano è inoltre la prima città del network globale C40 a vedere questa delega mantenuta direttamente dal sindaco, dato l’alto livello di priorità”. È lo stesso sindaco che sta dando il via alla cementificazione di immense zone della città, dagli scali ferroviari a San Siro, dove si costruirà con indici d’edificabilità superiori a quelli stabiliti dal Piano di governo del territorio.
“L’alto livello di priorità” che cosa ha prodotto? Molte promesse, qualche firma nei consessi internazionali. E una campagna pubblicitaria — mentre è partita anche la campagna elettorale per la rielezione — con l’obiettivo di affermare l’anima verde di “Milano Mix”. Chissà che cosa direbbe Jerry Mander, tra greenwashing ed “ecopornografia”.