SEGRETI

Il ritorno di Marco Mancini, l’agente salvato dal segreto di Stato

Il ritorno di Marco Mancini, l’agente salvato dal segreto di Stato

È l’agente meno segreto d’Italia. La sua foto è comparsa sui giornali e le tv di tutto il mondo mentre, volto contratto, giubbotto nero di pelle, aiuta la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, ferita, a scendere dall’aereo che l’aveva riportata a Roma dopo il rapimento in Iraq. Era il 5 marzo 2005. Marco Mancini era il capo della Divisione controspionaggio del Sismi (il servizio di sicurezza militare). Carabiniere dell’antiterrorismo di Carlo Alberto dalla Chiesa, era poi rapidamente diventato il braccio operativo del direttore del Sismi, il generale Nicolò Pollari.

Un anno dopo, il 5 luglio 2006, le sue foto scattate a Ciampino tornano a fare il giro del mondo: Mancini viene arrestato con l’accusa di concorso in sequestro di persona. I pm della Procura di Milano Armando Spataro e Ferdinando Pomarici lo accusano di aver aiutato gli americani della Cia a rapire un imam egiziano chiamato Abu Omar, prelevato in pieno giorno a Milano il 17 febbraio 2003 e portato al Cairo, dove viene interrogato e torturato per mesi.

È una delle tante extraordinary rendition realizzate nel mondo dall’amministrazione Usa dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre. È l’unica che viene perseguita e giudicata, in nome del principio che la legge è uguale per tutti e che “lo Stato”, dice Spataro, “non può comportarsi come l’Anonima sequestri”.

Sequestrandolo, i bravi ragazzi della Cia oltretutto lo strappano alla legge, che lo stava tenendo d’occhio per presentargli il conto: Abu Omar era indagato dalla Digos per conto della Procura di Milano che stava raccogliendo prove contro di lui e che si preparava ad arrestarlo e processarlo.

Con un’indagine da film americano, i pm milanesi individuano e fanno processare 26 agenti della Cia entrati in azione a Milano e trovano prove del coinvolgimento, almeno nella fase preparatoria, del Sismi di Pollari e Mancini. Mandano tutti sotto processo. Gli americani sono condannati, gli italiani la fanno franca grazie al segreto di Stato. Per Mancini, il pm Spataro chiede una condanna a 10 anni. La sentenza di primo grado (4 novembre 2009) decide il non luogo a procedere per Mancini e Pollari per segreto di Stato. In appello (15 dicembre 2010) confermato il proscioglimento per segreto di Stato.

Svolta in Cassazione (19 settembre 2012): proscioglimento annullato, perché il segreto di Stato non può mai coprire un fatto-reato. Così il nuovo processo d’appello (13 febbraio 2013) condanna Mancini a 9 anni di reclusione e Pollari a 10. Ma intanto il segreto di Stato sul caso Abu Omar è confermato dai governi che si succedono (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), che aprono conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato, ricorrendo alla Corte costituzionale contro pm e giudici.

La sentenza della Corte costituzionale (14 gennaio 2014) estende il segreto di Stato ai documenti del processo Abu Omar, sostenendo che copre non un fatto-reato, ma gli assetti interni dei servizi di sicurezza e i loro rapporti con la Cia. La Cassazione (febbraio 2014) non può che prendere atto della pronuncia della Consulta e annullare le condanne a Mancini, Pollari e altri tre agenti del Sismi: improcessabili per segreto di Stato.

Sarà la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo (febbraio 2016) a stabilire che l’Italia ha violato cinque diritti umani sanciti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo: “Il principio legittimo del segreto di Stato è stato con tutta evidenza applicato per impedire che i responsabili rispondessero delle proprie azioni”.


Alla porta di Mancini
, la Procura suona due volte: lo fa arrestare di nuovo il 12 dicembre 2006, accusandolo questa volta di essere coinvolto nei dossieraggi illegali realizzati dalla struttura di security della Pirelli-Telecom Italia, diretta da un suo vecchio amico, Giuliano Tavaroli, collega ai tempi eroici dell’antiterrorismo. Secondo i pm, i due avevano messo in piedi una sorta di servizio segreto parallelo, pubblico-privato, che spiava e raccoglieva materiale riservato su centinaia di persone, imprenditori, politici, calciatori.

All’udienza preliminare (ottobre 2009), Mancini invoca di nuovo il segreto di Stato: sui rapporti tra Sismi e Telecom. Il gup accoglie la sua richiesta e lo proscioglie, in parte per non aver commesso il fatto, in parte dichiarando di non doversi procedere per segreto di Stato. La Cassazione nel 2013 conferma.

La storia più delicata tra le tante di cui è stato protagonista riguarda proprio il rapimento di Giuliana Sgrena, accanto a cui Mancini ha messo la sua faccia per sempre. La va ad accogliere sulla pista di Ciampino perché deve sostituire il collega Nicola Calipari, il dirigente del Sismi ucciso il 4 marzo 2005 da un soldato americano a un posto di blocco mentre stava accompagnando la giornalista all’aeroporto di Baghdad per riportarla in Italia.

La vedova, Rosa Calipari, sostiene in un libro che suo marito potrebbe essere rimasto vittima di un conflitto interno al Sismi. Descrive la direzione di Pollari e Mancini come “ambigua, che agiva machiavellicamente su due linee strategiche opposte e alla fine contrapposte, un gioco che costerà la vita a Nicola”. Calipari era a favore della trattativa con i rapitori, a cui erano invece contrari gli americani; Mancini, da sempre vicino agli americani, era favorevole al blitz militare.

Tutto dimenticato. Ora per Mancini (che già è un dirigente del Dis) potrebbe essere la vigilia di un grande ritorno in campo: potrebbe essere nominato numero due del Dis, il dipartimento che coordina le due agenzie d’intelligence italiane, Aisi e Aise.

Il Fatto quotidiano, 10 novembre 2020 (versione ampliata)
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