Qual è la vera storia delle mascherine fantasma, comprate ma mai arrivate alla Regione Lazio di Nicola Zingaretti e alla Regione Veneto di Luca Zaia? Mentre la Procura di Roma prosegue le indagini, ora una sentenza svizzera aiuta a fare luce sulla vicenda. Ad aprire le danze nella Confederazione è stato Massimo Pulin, titolare della Orthomedica di Padova, nonché presidente di Confapi Sanità.
Orthomedica, per fornire mascherine alla Regione Veneto e ad altri, durante la prima ondata Covid ne ordina grossi quantitativi a una società di Lugano, Exor, controllata da un imprenditore, Paolo Balossi, che ha a Milano la sede della sua holding, Bi International. Pulin paga, come accade in questi tempi d’emergenza, in anticipo: 575 mila euro il 3 marzo, 870 mila il 5 marzo. Le mascherine però non gli arrivano. Denuncia dunque per truffa la società di Balossi in Svizzera, presso il ministero pubblico di Lugano. Lo denuncia anche per aver presentato un certificato Sgs falso (il documento che attesta l’esistenza della merce).
Il procuratore pubblico di Lugano, Francesca Piffaretti-Lanz, svolge l’indagine per truffa e per riciclaggio, fa perquisire Balossi, lo interroga, gli sequestra i conti bancari presso la Bps Suisse. In poche settimane arriva però a conclusioni opposte: niente riciclaggio e niente truffa. Ritiene convincenti le spiegazioni di Balossi e le prove che ha portato a Lugano. La sua Exor, per fornire le mascherine a Pulin e ad altri, le aveva ordinate sul mercato internazionale, ma le forniture erano state bloccate in dogana in Bulgaria e in Malesia: la merce era stata in parte addirittura sequestrata, “perché ogni Stato aveva interesse a mantenere all’interno dei propri confini il materiale sanitario, vista l’emergenza”.
Nell’impossibilità di rifornire i clienti, il titolare della Exor compie allora due mosse. La prima: va a Padova e firma un accordo transattivo con Pulin, versandogli 1,186 milioni in restituzione di gran parte dei soldi anticipati da Orthomedica. La seconda: ordina di nuovo le mascherine che erano state bloccate alle frontiere e che non aveva potuto consegnare né al cliente Ecotech (per la Regione Lazio), né al cliente Orthomedica (per la Regione Veneto).
Trova sul mercato un’azienda di Taranto che promette di fornirle rapidamente: la International Biolife, a cui Balossi ordina 10 milioni di pezzi. Qui la vicenda si annoda. Le mascherine non arrivano e Biolife presenta il certificato Sgs falso: quello che viene poi esibito dalla Ecotech alla Regione Lazio e da Exor a Orthomedica per la Regione Veneto. Partono le inchieste giudiziarie.
Balossi viene interrogato dalla Procura di Roma il 26 maggio, sulle mascherine fantasma ordinate dalla Regione Lazio. Spiega di aver ricevuto il falso certificato dalla Biolife e di ritenersi lui truffato dai broker di Taranto, che hanno preso i soldi dell’anticipo ma non gli hanno consegnato la merce. Per le mascherine della Regione Veneto, va a farsi interrogare dal procuratore pubblico di Lugano il 29 maggio. Anche qui spiega di aver ordinato due volte il materiale e di non aver mai ricevuto le mascherine malgrado i pagamenti già effettuati.
Per finire, Balossi denuncia la Biolife per il certificato falso alla Procura di Milano, che manda la denuncia alla Procura di Taranto. Il ministero pubblico elvetico proscioglie Balossi dalle accuse di riciclaggio e truffa. Bacchetta invece Pulin, a cui contesta la “denuncia mendace” e l’“inganno astuto”: perché ha denunciato Balossi per truffa mentre contemporaneamente raggiungeva un accordo transattivo con lui. Prosegue il filone italiano della Procura di Roma: nel mirino resta la Biolife di Taranto.
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