CORONAVIRUS

Siamo alla fase 2, ma Gallera in Lombardia è ancora alla fase zero

Siamo alla fase 2, ma Gallera in Lombardia è ancora alla fase zero L'assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera (S) e il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana durante una conferenza stampa di aggiornamento sulla situazione Coronavirus nel Palazzo Lombardia, Milano, 22 febbraio 2020. ANSA / Marco Ottico

E va bene: a fine febbraio, quando l’emergenza virus scoppiò e trasformò la Lombardia nell’area con più morti e contagiati di tutta Europa, l’assessore Giulio Gallera non se l’aspettava e ha “guidato a fari spenti nella notte”, come ha detto in Consiglio regionale. Ma ora, undici settimane dopo, come spiega l’impreparazione, l’approssimazione, il fallimento con cui continua a gestire la sanità della regione più ricca del Paese? Perché non li ha ancora accesi, quegli stramaledetti fari, nella notte che sta diventando alba?

“Non siamo ancora pronti”, ha ammesso al Fatto, “ci vuole ancora un po’ di tempo”. Intendiamoci: che ci fosse il rischio di pandemia lo sapevamo almeno da gennaio. Ma loro niente: i vertici della Lombardia, il presidente Attilio Fontana e l’assessore Gallera, non erano pronti a febbraio, quando si sono manifestati i primi focolai d’infezione. Non hanno chiuso in zona rossa l’area di Alzano Lombardo e Nembro, lasciando che il virus si diffondesse verso Bergamo, poi Brescia, infine Milano.

Non hanno imposto subito l’intervento degli ospedali privati, che sono entrati in partita una settimana dopo, quando anche i minuti erano preziosi. Non hanno attivato la medicina sul territorio, lasciando allo sbando i medici di base. Niente tamponi, niente mascherine, niente protezioni. Hanno lasciato sviluppare impotenti il più grande contagio ospedaliero della storia italiana.

Non hanno protetto gli anziani, lasciati infettare e morire nelle residenze e nei centri diurni. Hanno anzi incentivato la mattanza, mandando nelle residenze per anziani pazienti dimessi dagli ospedali. Hanno comunicato dati pasticciati, con i dimessi conteggiati come guariti. In compenso hanno buttato 21 milioni di euro offerti da donatori in un inutile (e vuoto) ospedale alla Fiera delle vanità dell’assessore e della nomenklatura di Regione Lombardia.

Undici settimane dopo, un vero piano di contrasto a Covid-19 ancora non c’è. Ciò che a febbraio avrebbe impedito a Milano e alla Lombardia di diventare l’area più nera del continente, neppure oggi è pronto. Siamo alla fase due, ma Gallera è ancora alla fase zero. Non c’è un programma per dare forza alla medicina del territorio, per mappare i focolai e tracciare i contagi, per moltiplicare i tamponi e i test sierologici.

Le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) sul territorio dovevano essere 200, sono appena 50. Sono composte da un medico e un infermiere, pronti a intervenire entro 24 ore, su richiesta del medico di famiglia, a casa di un paziente da monitorare. I tamponi sono ancora pochi rispetto alle necessità, spesso al primo non seguono quelli di controllo. I test sierologici sono un nodo che non si riesce a sciogliere: prima Gallera vietava quelli che i sindaci volevano sperimentare in alcuni Comuni, poi voleva imporre il test Diasorin-SanMatteo (pare ottimo), poi ancora ha fatto una gara di cui non si conosce il vincitore, ora sembra che, pressato dal suo partito, Forza Italia, voglia aprire il mercato: test liberi per tutti, ma a pagamento nei laboratori privati.

Una volta fatti i test, i positivi dovranno avere la conferma del tampone. E allora chi farà i prevedibili 20 mila tamponi in più (almeno) che si renderanno necessari? Il disastro lombardo, insomma, continua. Ciò che a febbraio poteva essere giustificato dalla sorpresa, dalla novità, dall’unicità del caso, oggi non lo è più: è incapacità pura. Gallera è stato salvato dalla sua maggioranza (Forza Italia e Lega) dalla richiesta di dimissioni avanzata dal Pd. Ma lo sfacelo è sotto gli occhi di tutti. Dio non voglia che le riaperture della fase due facciano ripartire l’emergenza.

Il Fatto quotidiano, 7 maggio 2020
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