CORONAVIRUS

Alzano. L’ordine degli uomini di Gallera al direttore medico: “Riaprite tutto”

Alzano. L’ordine degli uomini di Gallera al direttore medico: “Riaprite tutto”

Contrasti, urla, lettere di fuoco, nei giorni bollenti in cui l’ospedale di Alzano Lombardo fu lasciato diventare il cluster infettivo più micidiale d’Europa. Tra mille bugie e reticenze ufficiali, comincia a emergere la verità su ciò che è successo in quell’ospedale, sulle scelte dell’Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) Bergamo Est da cui dipende e, su su, dei vertici della Regione Lombardia.

È dal cluster di Alzano e Nembro, paesi a pochi chilometri da Bergamo, che il contagio da Covid-19 è partito probabilmente verso Bergamo, poi Brescia, infine Milano: l’area con più infettati e morti d’Europa. È dall’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano che tutto parte, già prima del 20 febbraio.

Ora sappiamo che qualcuno voleva chiudere (il direttore medico Giuseppe Marzulli e i medici della struttura) e qualcuno impose invece di andare avanti (il direttore generale della sanità lombarda Luigi Cajazzo, il direttore generale della Asst Bergamo Est Francesco Locati, il direttore sanitario della Asst Roberto Cosentina). Mentre i vertici della Regione (il presidente Attilio Fontana e l’assessore al Welfare Giulio Gallera) temporeggiarono, non chiusero subito, come potevano fare, l’area di Alzano e Nembro in una zona rossa che avrebbe potuto bloccare o almeno ridurre il contagio, aspettando invece l’intervento del governo, che arrivò il 8 marzo, con l’intera regione dichiarata zona arancione.

È la giornalista Francesca Nava, del sito Tpi.it, a rivelare che Marzulli, direttore medico del presidio ospedaliero di Alzano, ha provato a bloccare il contagio, in quei giorni del 23-24-25 febbraio, urlando contro i “superiori” delle direzioni generale e sanitaria. E ha poi messo nero su bianco il suo allarme in una lettera datata 25 febbraio: “Presso il Pronto soccorso stazionano tre pazienti senza che vengano accolti né dall’ospedale di Seriate né da altre strutture aziendali”.

Sospetti Covid-19. “È evidente che in queste condizioni il Pronto soccorso di Alzano Lombardo non può rimanere aperto”. Gli ordini sono: aspettare l’esito del tampone: “Tale indicazione è assurda (ed uso un eufemismo) in quanto, come noto, i tempi di refertazione sono mediamente intorno alle 48 ore e ciò vuol dire far stazionare tali pazienti per 48 ore presso il Pronto soccorso, cosa contraria a qualunque protocollo e anche al buon senso”, scrive il dottor Marzulli. Concludendo con un secco: “Ritengo indispensabile un intervento urgente”.

Alcune testimonianze confermano il conflitto scoppiato in quei giorni. Un dipendente della Asst: “La riapertura dell’ospedale di Alzano Lombardo è avvenuta per ordini superiori. Il direttore, il dottor Marzulli, era chiaramente contrario e si è espresso più volte in questo senso. Quel lunedì 24 febbraio io ero in servizio e dal suo ufficio lo si sentiva urlare con la direzione generale, la direzione sanitaria, la direzione strategica di Seriate che gli hanno imposto la riapertura. C’è stata una situazione di conflitto, ma ha eseguito gli ordini”.

Racconta il dipendente: “A partire dal 15 febbraio, erano già stati accolti pazienti poi risultati positivi al Covid-19”. Sabato 22, un paziente infetto transita dal Pronto soccorso e due vengono trasferiti al Giovanni XXIII di Bergamo, dove muoiono. Domenica 23: è il caos. Il Pronto soccorso “ha riaperto senza nessuna sanificazione specifica e senza che venissero predefiniti percorsi di sicurezza, non è stata allestita immediatamente la tenda di pre-filtraggio, ma solo nei giorni successivi, ed è stato riaperto accogliendo i pazienti affetti da Coronavirus insieme agli altri”.

E ancora: “La gente sintomatica ha continuato a lavorare, il personale sanitario circolava liberamente e la sera faceva rientro a casa”. Lunedì 24, l’ospedale riapre anche il punto prelievi come se nulla fosse successo. “Il lunedì successivo c’era un clima quasi di panico, di paura generale, più che altro c’era una corsa al tampone, tutti i dipendenti volevano fare il tampone”. Martedì 25 febbraio il presidio ospedaliero accoglie altri tre pazienti con sintomi Covid-19. Marzulli scrive ai suoi capi. Invano.

Drammatica la testimonianza anonima al Tg1 di un primario dell’ospedale di Alzano: “Il 23 febbraio è arrivata la chiamata del direttore generale Cajazzo, che ha detto: non si può fare, non possiamo chiudere oggi Alzano, tra due ore Cremona… Quindi riaprite tutto”. Conclude il primario: “Abbiamo pensato: se noi tecnici dobbiamo dipendere da loro, siamo morti”.

Un’infermiera racconta invece al sito Valseriananews.it: “La sanificazione dell’ospedale è stata fatta quattro giorni dopo. Siamo stati obbligati a tenere i pazienti infetti insieme agli altri ricoverati per 72 ore cruciali. Il nostro direttore ha chiuso subito il pronto soccorso, ha avvisato i vertici… Nel frattempo ci siamo messi a redigere una lista di pazienti transitati nel pronto soccorso, nei reparti, i ricoverati, i famigliari, il personale entrato in contatto, lo abbiamo fatto insieme con la caposala, lo abbiamo fatto noi autonomamente, mentre i vertici si confrontavano sul da farsi. I giorni successivi, il delirio! Comunicazioni/direttive che cambiavano di ora in ora”.

Il Fatto quotidiano, 11 aprile 2020
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