Per spezzare la narrazione di melassa su Milano migliore dei mondi possibili, c’è voluto il ministro Giuseppe Provenzano, a un dibattito con i presidenti di Lombardia e Liguria, Attilio Fontana e Giovanni Toti. “A differenza di un tempo, oggi questa città attrae, ma non restituisce quasi più nulla di quello che attrae. Intorno a essa si è scavato un fossato: la sua centralità, importanza, modernità e la sua capacità di essere protagonista delle relazioni e interconnessioni internazionali non restituisce quasi niente all’Italia”. Seguono gli alti lai del sindaco Giuseppe Sala e della Lega, stupiti che qualcuno osi cantare fuori dal coro unanime che gorgheggia le lodi di Milano.
Prova a ragionare fuori dal mainstream l’economista Gianfranco Viesti, sulle pagine del Messaggero. “Il timore è che lo sviluppo di Milano sia avvenuto spesso a danno del resto del Paese, e che fantastichi di se stessa come una città-stato largamente autonoma; e che il suo sviluppo sia avvenuto senza dare alcuna spinta al resto del Paese”. È una città a rischio di “sovranismo comunale”, scrive Viesti, che potrebbe “svegliarsi invece come un piccolo cantone svizzero, satellite della grande economia tedesca”.
Viesti riconosce l’efficienza e le eccellenze di Milano: nella buona amministrazione, nel diffuso senso civico, nel sistema dei trasporti, in quello universitario, nell’economia, negli alti livelli di occupazione e salari, nel sostegno che la ricchezza privata offre all’azione pubblica e collettiva (per esempio attraverso le Fondazioni). Ma poi si chiede: “La forza di Milano viene esclusivamente da se stessa e dalle sue capacità? In realtà, è forte anche e soprattutto perché è una grande città italiana. Che dalle risorse fiscali di tutti gli italiani ha tratto i suoi collegamenti ad alta velocità (che tanti altri non hanno); che dalle altre città attrae giovani formati con l’investimento a volte pesante di risorse familiari; che nel resto del Paese vende beni e soprattutto servizi per decine di miliardi”.
Ha avuto molto, Milano. “Il suo sistema universitario”, esemplifica Viesti, “è premiato da regole distorte” disegnate a danno delle università del Centro e del Sud. Su Human Technopole, che cerca di dare senso, in ritardo, ai terreni desolati dove è stato impiantato Expo, “a spese di tutti gli italiani” piovono miliardi concentrati lì con una “decisione del tutto discrezionale”. E vuole avere ancora di più: subito i fondi per una Olimpiade invernale, concessi a una città che con la neve c’entra zero; e in prospettiva una autonomia regionale differenziata che Viesti ha etichettato come la “secessione dei ricchi”.
Aggiungiamo un tema, suggerito non da ideologi comunisti, ma da una recente ricerca di Assolombarda: a Milano le disuguaglianze crescono, la ricchezza si concentra in poche mani e la distanza tra ricchi e poveri continua ad aumentare. E allora, forse va ascoltata anche la replica di Provenzano, ministro per il Sud, uomo del Pd – non un mestatore grillino – che nel tentativo di disinnescare la contrapposizione con il sindaco Sala, finisce per lanciare un avvertimento: “Tra le grandi città, come è Milano, e il resto dei territori, le periferie urbane e rurali, si scavano dei fossati sempre più profondi”. L’Italia “resta un Paese di piccoli centri, di province, di campagne deindustrializzate e aree interne”. E – aggiungiamo noi – di periferie urbane celebrate a parole, ma dimenticate nei fatti. “I luoghi che non contano poi si vendicano”, conclude Provenzano, “è la cronaca di questi anni da Trump alla Brexit fino all’ascesa dei nazionalismi in tutta Europa”.