Silvio Novembre, l’altra metà dell’eroe borghese
Aveva sorriso, quando aveva visto se stesso interpretato sullo schermo da Michele Placido: “Io non sono così bello”, aveva sussurrato. Lui era Silvio Novembre, il film era Un eroe borghese, che raccontava la storia dell’avvocato Giorgio Ambrosoli.
Se n’è andato nella notte, a Milano, a 85 anni. Era un giovane maresciallo della Guardia di Finanza quando un incarico ricevuto dai suoi comandanti gli cambiò la vita. Fu mandato ad assistere un giovane avvocato milanese nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, definito da Giulio Andreotti il “salvatore della lira”, ma finito in un crac clamoroso, ricercato e latitante in America, ma protetto e sostenuto in Italia.
Da principio tra i due costretti a lavorare insieme non c’era feeling. Silvio era un ragazzone silenzioso e spigoloso, Giorgio un professionista che aveva subito capito di essere finito in mezzo a una storia pericolosa, in cui non poteva fidarsi di nessuno. Poi i due si annusarono, il ghiaccio si sciolse, tra loro si saldò un’alleanza forte, un’amicizia vera, la complicità di chi è finito per caso in una vicenda che incrocia finanza e politica, potere e criminalità, e sceglie di fare il suo dovere fino in fondo, senza cedere a blandizie, pressioni, ricatti, minacce.
Ambrosoli, l’“eroe borghese” raccontato da un indimenticabile libro di Corrado Stajano, l’11 luglio 1979 fu ucciso dal killer mafioso arrivato dall’America. Sindona fu condannato come il mandante dell’omicidio. Silvio Novembre restò vivo e continuò negli anni a testimoniare l’eroismo antieroico che aveva condiviso con Ambrosoli. Negli anni in cui fu a fianco dell’avvocato, il maresciallo fu suo assistente e guardia del corpo, autista e amico.
Sei anni dopo, fu tra i fondatori del circolo Società civile, promosso da Nando dalla Chiesa, che si impegnava a diffondere i temi della legalità, negli anni della “Milano da bere” e del negazionismo criminale (“A Milano la mafia non esiste”). Era in buona compagnia: tra i soci fondatori di Società civile c’erano Corrado Stajano e Camilla Cederna, Giorgio Bocca e David Maria Turoldo, Armando Spataro e Ilda Boccassini, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo…
Per Silvio fu una nuova giovinezza, s’impegnò nelle attività del circolo, girò per le scuole a raccontare. Dopo un funerale in cui si era ritrovato solo accanto ai familiari di Ambrosoli, dopo anni di silenzio e di beffe sottili (Andreotti: “Certo è una persona che in termini romaneschi ‘se l’andava cercando’”), contribuì a far diventare il commissario liquidatore un esempio per l’Italia che voleva reagire ai sistemi criminali in cui s’intrecciano corruzione e mafia. Sempre senza enfasi, senza retorica, con una punta semmai d’ironia: “Bravo Michele Placido, ma io non sono così bello”.