Teresa Bellanova, icona del nuovo renzismo che si fa partito
Vista da quassù, profondo Nord, la ministra Teresa Bellanova – bersaglio degli odiatori leghisti e di altri cretini – è un’icona perfetta del nuovo renzismo che si fa partito. È il braccio di Matteo Renzi dentro il governo Conte, è la “capodelegazione” del suo nuovo movimento, Italia Viva. È lo strumento nelle mani del nuovo Ghino di Tacco che può condizionare le scelte del Conte 2. Presente a destra, passato a sinistra: la sindacalista Bellanova può esibire una storia carica di echi di lotta e di valori. Com’è diverso il blu elettrico del suo vestito a balze da quello senza passato e senza storia del tailleur di Maria Elena Boschi, icona del renzismo antemarcia.
Sì, perché Bellanova si è presentata al giuramento del nuovo governo al Quirinale con un vestito che ha scatenato i cretini dei social e della politica. “Carnevale? Halloween?”, ha subito twittato l’ineffabile Daniele Capezzone. In scia, insulti e offese contro “la balena blu” e altre piacevolezze, culminate nel rimprovero di avere, come titolo di studio, solo la licenza di terza media. Certo: Teresa, nata nel 1958 a Ceglie Messapica, provincia di Brindisi, a 14 anni ha cominciato a lavorare nei campi. A 15 era già capolega della federazione dei braccianti Cgil. Ragazza, contadina, sindacalista.
Con le sue compagne di lavoro e di lotta faceva i blocchi stradali prima dell’alba per fermare fisicamente i furgoni dei caporali pieni di donne portate a lavorare nei campi. Trattate come bestie. Come oggi sono trattati, nei campi del Sud e del Nord, gli immigrati. Per trent’anni ha lavorato nel sindacato, diventando coordinatrice regionale di Federbraccianti e poi leader dei tessili Cgil. Nel 2006 la nota Massimo D’Alema, che la candida alle elezioni. Bellanova lascia i campi e le sedi sindacali per trasferirsi in pianta stabile in Parlamento. Sempre nella sinistra del partito, che cambia nome da Ds a Pd.
È nel 2015 che avviene la svolta. Il segretario Matteo Renzi impone l’Italicum come legge elettorale, che vuole far passare con il voto di fiducia. La sinistra del partito si oppone. In sostegno a Renzi arriva allora Maurizio Martina, che si stacca dalla sinistra e fonda la nuova corrente “Sinistra è cambiamento”. Bellanova aderisce e ne diventa il punto di riferimento in Puglia. Poi scavalca a destra Martina e si schiera con Renzi senza se e senza ma. Va all’attacco del governatore pugliese Michele Emiliano. Diventa la profetessa della flessibilità del lavoro. Sostiene da pasdaran il Jobs Act e la riforma dell’Articolo 18, dopo aver lottato duramente contro il governo Berlusconi che lo voleva abolire.
Nella Cgil la chiamano “la traditrice”. Temperamento sanguigno, Teresa non fa una piega e va alla Leopolda a spiegare che i tempi sono cambiati e che quello che era cattivo quando lo voleva Silvio è diventato buono se a volerlo è Matteo. Nel 2016 attacca frontalmente il politico che aveva sempre sostenuto, Pier Luigi Bersani, perché si schiera per il no al referendum costituzionale, mentre lei fa propaganda accanita per il sì.
Raccoglie infine i frutti del suo impegno. Quando Giuseppe Conte vara il suo governo due, frutto dell’accordo tra Cinquestelle e Pd, il candidato naturale a diventare ministro dell’Agricoltura è Maurizio Martina, che aveva già ricoperto quell’incarico nei governi Renzi e Gentiloni. Ma il Matteo di Italia Viva (già pronta ma ancora non annunciata) s’impunta: vuole lei, al governo, vuole Teresa Bellanova. E ottiene quanto vuole. Poi arrivano i cretini sessisti che la criticano per il vestito, per il peso, per il titolo di studio. Così tutti i sani di mente sono costretti a difenderla. Ecco: i cretini ci tolgono anche la possibilità di criticare chi se lo merita, e non certo per il blu elettrico del vestito che indossa.