“Ci avevano promesso 240 mila posti di lavoro. Tutte balle”
Tra le mirabolanti promesse di Expo, c’era anche un aumento record dei posti di lavoro. Nel dossier di candidatura presentato nel 2006, s’ipotizzava che l’esposizione universale mettesse in moto nuova produzione per 20,6 miliardi, con un valore aggiunto per il Paese (l’effettivo aumento del Pil e di salari e profitti) di 10,2 miliardi, con 240 mila nuovi posti di lavoro stabili, oltre ai quasi 70 mila a termine per realizzare e gestire l’evento. Erano tutte balle. A Milano e in Lombardia l’occupazione non è affatto aumentata, ma è anzi diminuita. Ora i sindacati cercano di fare i conti e offrire qualche cifra precisa su questa promessa non mantenuta.
I conti del bilancio, abbiamo appreso, non ci sono ancora e non ci saranno guarda caso fin dopo le elezioni del sindaco, così si eviteranno ulteriori imbarazzi al candidato del Pd Giuseppe Sala, ex commissario Expo che ha sempre pasticciato con la trasparenza, gonfiando i numeri dei visitatori totali e dei visitatori stranieri (“Sono 6 milioni”: ma è impossibile, dicono ora le cifre degli arrivi dall’estero nel 2015) e nascondendo e “drogando” le cifre del bilancio già in suo possesso. Abbiamo scoperto che si è dimenticato anche di dichiarare la sua casa in Svizzera: il Fatto quotidiano l’aveva raccontato in un articolo il 2 aprile e ieri l’ex missino Riccardo De Corato, già grande oppositore di Tangentopoli negli anni Ottanta, ha portato un esposto sul tema alla Procura della Repubblica.
Sul lavoro promesso e non arrivato, a protestare pubblicamente, cifre alla mano, è ora Mirco Rota, segretario generale della Fiom-Cgil Lombardia. Non solo Expo non ha generato occupati stabili, ma non ha mantenuto neppure le promesse di stabilizzare, alla fine della fiera, almeno una buona fetta dei lavoratori Expo. “Ha trovato un impiego stabile soltanto il 20 per cento dei 7 mila lavoratori dell’esposizione con contratti di somministrazione”, spiega Rota. “È un ben magro bilancio occupazionale, il triste lascito di una manifestazione fatta con immensi investimenti pubblici”.
Continua il segretario Fiom: “Che Expo 2015 si configurasse come un flop dal punto di vista del lavoro e dell’occupazione, in realtà noi purtroppo l’avevamo previsto in tempi non sospetti, non lo scopriamo adesso. L’avevamo predetto quando si decise di introdurre l’apprendistato in somministrazione, prima che Expo aprisse i battenti, con i tanti contratti precari, anche in deroga ai contratti nazionali. Per non parlare del lavoro volontario, cioè gratuito. Avevamo chiesto che si creassero posti di lavoro veri, che resistessero al dopo Expo, invece di applicare contratti pirata che riducono i salari e i diritti ai lavoratori”.
Rota ricorda anche il vivace dibattito dentro la Cgil: “Nel 2014, quando erano in corso le inchieste giudiziarie e fioccavano gli arresti, noi della Fiom dicevamo che mentre l’Expo si dimostrava un business per gli imprenditori, non potevamo accettare di trasformarlo in un’occasione per contrattare e rinegoziare verso il basso diritti acquisiti dei lavoratori e anche per congelare e stabilizzare le vertenze, spuntando le armi del sindacato e togliendo gli elementi di pressione sindacale sulle imprese. Allora ci dicevano che eravamo gufi e che intralciavamo l’impegno del Grande Manovratore a cui erano stati appaltati i destini del Paese. Ora siamo al bilancio finale: purtroppo avevamo ragione. Ormai è visibile il fallimento della politica occupazionale dell’Expo, che molti expottimisti, anche a sinistra, fingevano di non vedere. Abbiamo accettato flessibilità e lavoro gratuito, oggi non raccogliamo un bel niente”.