GIUSTIZIA

La rete di Palamara e la diffusione del “complotto” Eni

La rete di Palamara e la diffusione del “complotto” Eni Foto Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Roma Economia Trasmissione tv "In Mezz'Ora" Nella foto Claudio Descalzi (ad Eni) Photo Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Rome (Italy) Tv program "In Mezz'Ora" In the photo Claudio Descalzi (ceo Eni)

È Eni uno dei nervi scoperti dello scandalo che sta investendo Luca Palamara, i suoi amici e il Consiglio superiore della magistratura. Le alchimie correntizie di Palamara riguardavano le nomine ai vertici delle Procure di Roma, Perugia, Firenze e Torino, certo. Lambivano l’indagine Consip in cui era rimasto impigliato Luca Lotti, ex ministro del governo di Matteo Renzi. Ma erano di sicuro impegnate su una vicenda attorcigliata e ancora non risolta che ruota attorno alla compagnia petrolifera nazionale e ai suoi vertici, l’amministratore delegato Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni, con schizzi di fango anche per l’allora presidente del Consiglio Renzi.

L’uomo chiave di questa storia è Pietro Amara, definito “avvocato esterno dell’Eni”, il professionista che dalla compagnia ha ottenuto negli anni incarichi per 13,5 milioni di euro e che l’Eni non ha scaricato neppure dopo che il Corriere della sera, l’8 settembre 2017, lo ha segnalato come coinvolto nel “complotto” ordito per depotenziare e depistare le indagini della Procura di Milano, coordinate dall’aggiunto Fabio De Pasquale, sulle corruzioni internazionali in Nigeria e in Algeria. Amara comincia a fare i suoi giochi (sporchi) che si sviluppano anche contando sul potere di un pezzo da novanta del Csm: Palamara, kingmaker della corrente Unicost.

Alcuni pm fanno (consapevolmente o inconsapevolmente) da sponda: Giancarlo Longo, ai tempi alla Procura di Siracusa; Carlo Maria Capristo e Antonio Savasta, allora in quella di Trani; Stefano Fava, in quella di Roma. La storia inizia il 23 gennaio 2015, quando arriva un esposto anonimo alla Procura di Trani. È il primo atto del “complotto” che secondo la Procura di Milano è ordito da Amara, aiutato da una corte dei miracoli e “altre persone interne a Eni in corso di identificazione”.

A raccogliere gli anonimi e a svilupparli con zelo sono il procuratore Capristo (di Unicost) e i pm Savasta (di Magistratura indipendente) e Alessandro Pesce, che spediscono la Guardia di finanza ad acquisire documenti fino dentro il cda dell’Eni. I finanzieri, dopo averli analizzati, concludono che in quelle carte di reati non se ne vedono e che la competenza a indagare, semmai, è della Procura di Milano.

Amara racconta di aver avuto un incontro (un po’ “carbonaro”) con Capristo a Roma, nella galleria Sordi. “Percepii”, dice Amara, “che lui non vedeva sfogo in relazione a questa vicenda”. Si dà allora da fare per indirizzarla verso Siracusa. “Chiesi a Longo”, racconta, “di contattare Capristo per spiegare le ragioni per cui il fascicolo potesse andare a Siracusa”. È il pm Giancarlo Longo (di Unicost), in effetti, ad aprire un fascicolo su un nebuloso (e farlocco) sequestro di persona che gli permette di farsi trasmettere gli atti da Trani.

In seguito, Capristo riesce a diventare procuratore a Taranto, grazie ai voti di Unicost, Magistratura indipendente, laici di sinistra e Forza Italia. Quanto a Savasta, nel gennaio 2019 finisce agli arresti domiciliari per un’altra storia, accusato di essersi venduto le inchieste. Longo sarà poi indicato da Palamara come procuratore a Gela, ma senza successo: la sua carriera s’interrompe nel febbraio 2018, quando viene arrestato insieme ad Amara su richiesta delle Procure di Roma e di Messina.

Nell’estate del 2016, il Fatto quotidiano comincia a scrivere del “complotto” Eni, segnalando fin dal primo articolo la possibilità di un depistaggio: “I casi possono essere soltanto due. O qualcuno ha davvero complottato contro Descalzi e il premier. Oppure ha voluto far credere ai pm che sia stato così”. Lo stesso Longo, intercettato, spiega: “A luglio cominciano gli articoli del Fatto (…) e lui ha cominciato ad andare in panico su questa cosa”. “Lui” è il procuratore di Siracusa, Francesco Paolo Giordano, che sente odore di bruciato, si confronta con i magistrati di Milano che stanno indagando su Eni e decide di mandar loro anche il bislacco fascicolo sul “complotto”, che il 15 luglio 2016 plana sulla scrivania dell’aggiunto De Pasquale.

Nel marzo 2017 De Pasquale chiede l’archiviazione delle accuse rivolte ai due consiglieri indipendenti di Eni, Luigi Zingales e Karina Litvak, riconosciuti non manovratori, ma semmai vittime del “complotto”. Per cercare i veri registi dell’intrigo, a Milano si mettono al lavoro i pm Laura Pedio e Paolo Storari. Intanto però un pm di Roma, Stefano Fava, chiede che Milano gli trasmetta quel fascicolo. Avvertendo solo a cose fatte il procuratore Giuseppe Pignatone che, informato dal suo omologo di Milano Francesco Greco, gli ritira la delega.

Intanto Eni avvia nuovi audit su Amara e il “complotto”, dopo quello vuoto e rassicurante del novembre 2017. E la Procura di Perugia apre l’inchiesta che scardina il sistema: indaga Palamara, indicato come il gran regista delle nomine.

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Il Fatto quotidiano, 4 giugno 2019
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