Il Sessantotto di Luca Cafiero
Quando il vento della storia arriva, non è mai un vento leggero. È impetuoso, invece, soffia forte. Fa anche danni, ma cambia le vite e la direzione del tempo. Quando arrivò il vento del Sessantotto, una parte dei giovani si fece sospingere da quel soffio, assunse la sua parzialità e diventò protagonista del cambiamento. Tra quei giovani c’era Luca Cafiero, che ora ci ha lasciato per sempre. Nato a Napoli, cresciuto a Torino, Cafiero studiò a Milano. Al liceo Berchet (quello di don Giussani) diede vita a una cellula della Federazione giovanile comunista italiana: erano in tre. Ma criticò l’invasione sovietica dell’Ungheria e l’ortodossia comunista. Finché, accanto a Mario Capanna, Salvatore Toscano e tanti altri, si buttò nel fiume in piena del movimento studentesco. Era diventato uno studioso di Hume e dei filosofi libertini del ’700 inglese, assistente del professor Mario Dal Pra, grande maestro e titolare della cattedra di Storia della filosofia alla Statale di Milano. Intanto il movimento (con la minuscola) era diventato Movimento studentesco e poi Mls, una delle cento anime del Sessantotto italiano.
I suoi funerali, martedì scorso, si sono conclusi con Yellow Submarine: i Beatles invece che l’Internazionale. “Non a tutti è dato di vivere una stagione come quella che noi abbiamo vissuto”, ha detto Alfonso Gianni nel suo ultimo saluto, “siamo stati fortunati”. Fortunati di vivere, con la generosità e la spudorata allegria dei giovani, anni duri e anche crudeli. Che hanno cambiato la cultura e la vita quotidiana, la musica e il costume, la famiglia e la sessualità, la scuola e la fabbrica. Che hanno dato parola a chi non l’aveva (gli studenti nelle scuole e nelle universitá, gli operai nelle fabbriche, i figli nelle famiglie, i fedeli nelle chiese…). Che hanno fermato l’attacco alla democrazia sferrato dalla strategia della tensione. Che hanno reso l’Italia un po’ più moderna, un po’ più colorata, un po’ più democratica.
C’era l’ideologia, certo. E la violenza che dell’ideologia era figlia. Le grandi narrazioni del Novecento erano la cassetta degli attrezzi a disposizione di chi credeva davvero di cambiare il mondo. Il mondo intanto cambiava, i conflitti producevano grandi trasformazioni. La meglio gioventù aveva a disposizione parole vecchie per dire cose nuove. Poi, quando il vento cessò – anzi, quando invertì la sua direzione – trionfò un’altra ideologia, più crudele e feroce, che impose l’elogio delle diseguaglianze travestito da fine delle ideologie.
Ai funerali di Luca Cafiero c’erano tanti che con lui avevano condiviso una stagione di lotte e l’azzardo della gioventù. E le interminabili assemblee nell’aula magna di via Festa del Perdono, il sabato pomeriggio. E le riunioni, i cortei, noi che la sera andavamo in Santo Stefano – la piazza a un soffio dall’università Statale dov’era la sede del Ms-Mls.
La vita non era ancora distinta dalla politica. Poi gli anni l’hanno divisa e la vita ci ha divisi, pugni chiusi accanto a sorrisi disincantati, nuovi impegni insieme a vecchi opportunismi di chi tiene famiglia. Per molti, la scoperta della democrazia finalmente senza aggettivi. Certo però è restato qualcosa a unire chi è stato “così fortunato da vivere quella irripetibile stagione”, se alla fine, così diversi, da molte parti d’Italia, in tanti ci si è ritrovati davanti alla Camera del lavoro di Milano, un mattino di marzo, per l’ultimo saluto a Luca, intellettuale e militante scettico ed elegante.
Luca Cafiero e Mario Capanna a un comizio. Nell’immagine sopra, Cafiero con Salvatore Toscano e Giannino Zibecchi.