A volte ritornano. Ci sono proposte che s’inabissano nel ventre carsico della Repubblica, ma poi riaffiorano, periodicamente, tenacemente, insistentemente. La separazione delle carriere, per esempio, tra magistrati d’accusa e giudici. Piaceva a Bettino Craxi. I Radicali l’hanno proposta in un referendum. Silvio Berlusconi l’amava quasi più delle “cene eleganti”. La Bicamerale di Massimo D’Alema l’aveva tra i suoi punti qualificanti. Oggi torna di moda, a destra e a sinistra, dopo che la magistratura ha osato mettere addirittura agli arresti il babbo e la mamma di Matteo Renzi.
È una riforma che trova il suo primo modello ideale in quel grande magazzino sotterraneo di idee a disposizione dei cattivi riformatori d’ogni risma e d’ogni fase politica che è il Piano di rinascita democratica di Licio Gelli, Maestro Venerabile della loggia massonica segreta P2. Era un piano segreto elaborato tra l’autunno 1975 e l’inverno 1976 e sanciva il passaggio dell’Italia dalla fase golpista (quella delle stragi e dei tentati colpi di Stato tra il 1969 e il 1974) a quella più propriamente piduista.
Dopo il 1974, cambia lo scenario internazionale, tramonta in Usa l’amministrazione Nixon e i centri sotterranei in Italia si attrezzano a una più complessa e raffinata occupazione dei gangli di potere. Una strategia di conquista dall’interno della politica, della magistratura, dell’informazione. Il Piano indica fin dalla prima pagina sei obiettivi da realizzare: nei partiti, nella stampa, nei sindacati, nel governo, nel Parlamento. Il quinto punto riguarda appunto “la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi”. Come? Realizzando una serie di riforme. Eccole.
Introdurre “la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati; il divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari; la normativa per l’accesso in carriera (esami psico-attitudinali preliminari); la modifica delle norme in tema di facoltà di libertà provvisoria in presenza dei reati di eversione – anche tentata – nei confronti dello Stato e della Costituzione, nonché di violazione delle norme sull’ordine pubblico, di rapina a mano armata, di sequestro di persona e di violenza in generale”. Seguono sei punti che indicano sei riforme concrete.
La prima riguarda la separazione delle carriere, con il pubblico ministero diviso dai giudici: eccola, la “riforma” che torna anche oggi e che tanto piace alla politica, di destra e di sinistra, che vuole tagliare le unghie a un pm indipendente, libero di indagare sui politici, di destra e di sinistra. La seconda delle “riforme” proposte dal piano di Gelli riguarda la “responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato del pm (modifica costituzionale)”. E sottolinea, per chi non avesse capito, che l’obiettivo è proprio il controllo dei magistrati d’accusa da parte della politica, attraverso la “responsabilità” del ministro della Giustizia.
Il terzo punto indica la “istruzione pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa e difesa di fronte ai giudici giudicanti, con abolizione di ogni segreto istruttorio con i relativi e connessi pericoli ed eliminando le attuali due fasi d’istruzione”. Al quarto punto si toglie autonomia al Csm: “Riforma del Consiglio superiore della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento”.
Il quinto punto insiste sulla separazione delle carriere: “Riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per le funzioni di accusa, separare le carriere requirente e giudicante, ridurre a giudicante la funzione pretorile”. Il Piano di rinascita democratica è il manifesto della nuova fase storica che si apre nel 1974. Ma sempre buono, in seguito, a offrire cattive idee a chi voglia ridurre la democrazia. Fino a oggi.