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Carige. Ecco il piano per uscire dalla prima crisi bancaria del governo gialloverde

Carige. Ecco il piano per uscire dalla prima crisi bancaria del governo gialloverde BANCA CARIGE

Domani, lunedì 7 gennaio, Pietro Modiano e Fabio Innocenzi incontreranno a Roma il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il presidente e l’amministratore delegato di Carige, ora che sono diventati commissari per volere della Banca centrale europea, si sono sottratti al controllo (e alle bizze) del principale azionista dell’istituto, Vittorio Malacalza, e hanno almeno sei mesi per portare Carige fuori dalle secche. Si mostrano ottimisti, anche se il lavoro da fare è tanto e il traguardo non è garantito: ma la situazione patrimoniale non è disperata, il lavoro di ripulitura dai crediti deteriorati è già avviato e la banca ha una buona presenza in una regione ricca come la Liguria, tanto da sperare di poter diventare, una volta liberata dalla zavorra, un buon partito per convolare a nozze con qualche baldo pretendente.

Certo, nei giorni del passaggio dal 2018 al 2019 la situazione sembrava disperata, dopo che l’annunciato aumento di capitale da 400 milioni era evaporato. Poi la Bce ha fatto ciò che non era mai successo prima, commissariare una banca italiana, confermando però la fiducia ai due manager che la stavano gestendo, Modiano e Innocenzi, a cui hanno aggiunto l’avvocato romano Raffaele Lener.

Ora i commissari hanno tre mesi poi prorogabili, dunque almeno un semestre, per vendere i crediti deteriorati, già passati dai 4,4 miliardi del 30 settembre 2018 ai 2,8 miliardi di oggi. L’obiettivo è di portare, per la semestrale di giugno, la percentuale dei crediti incerti, oggi al 20 per cento dei crediti totali, sotto la soglia del 5 per cento, attorno a quota 1 miliardo. Obiettivo non difficile, ritengono Modiano e Innocenzi, visto che il mercato dei bad loans oggi è florido. Sanno che semmai la fatica da fare sarà quella di portare a casa un prezzo migliore di quello che viene comunemente praticato, con un 15 per cento di sconto sul valore stimato del pacco dono mollato ai compratori. Nei prossimi mesi si vedrà se sarà preferibile vendere “a pezzi” i crediti cattivi, oppure se converrà costituire una bad bank da vendere in blocco, lasciando la good bank libera dalle zavorre e pronta per un eventuale matrimonio, d’amore e non combinato dalle famiglie.

La seconda trattativa che i commissari inizieranno già da domani sarà con i responsabili del Fondo interbancario, per farsi abbassare gli interessi sul prestito di 320 milioni che lo schema volontario del Fondo aveva concesso a novembre, subordinato a un aumento di capitale di 400 milioni che l’assemblea dei soci Carige avrebbe dovuto approvare nell’assemblea del 22 dicembre. Con l’aumento di capitale, il bond da 320 milioni si sarebbe convertito in azioni. Saltata l’operazione per decisione della famiglia Malacalza, il tasso d’interesse del bond è schizzato al 16 per cento, che vuol dire per Carige un costo di 51,2 milioni l’anno. Pesante, per una banca che sta cercando di risollevarsi. Il presidente del Fondo interbancario, Salvatore Maccarone, ha annunciato nei giorni scorsi la sua disponibilità a dialogare sul punto con la banca.

Ma come si è arrivati al commissariamento europeo e alla prima crisi bancaria del governo Cinquestelle-Lega? Si è giocato tutto nelle ore precedenti all’assemblea del 22 dicembre. Modiano e Innocenzi erano convinti di portare a casa il risultato. Avevano avuto da Malacalza l’assicurazione che la sua famiglia avrebbe messo 200 milioni per un aumento di capitale che avrebbe messo in sicurezza la banca. Poi però avevano trovato un ulteriore buco di 200 milioni, frutto di accantonamenti chiesti dalla Bce e non fatti dalla gestione precedente (presidente Giuseppe Tesauro, amministratore delegato Paolo Fiorentino).

L’ispezione della banca europea, del resto, era terminata il 3 agosto, il giorno stesso dell’assemblea che avrebbe dovuto decidere gli accantonamenti. Ma una volta rilevato il problema, i 200 milioni di Malacalza non bastavano più, ne occorrevano 400. A questo punto, sollecitato da Modiano, entra in scena lo schema volontario del Fondo interbancario, che mette sul piatto il bond da 320 milioni che, sommato ai 200 promessi dai Malacalza, avrebbe permesso l’aumento di capitale e il salvataggio della banca.

Fino alla sera prima dell’assemblea del 22 dicembre sembrava che l’operazione potesse andare in porto. Poi la ragionevolezza di Davide Malacalza è stata sommersa dallo tsunami del fratello Mattia e del padre Vittorio. Nella banca, la famiglia ha già messo negli anni tante palanche, più di 400 milioni, per arrivare a controllare un 27,55 per cento che oggi non ne vale più di 20. Con l’aumento di capitale e la conversione in azioni dei 320 milioni del Fondo interbancario, la quota dei Malacalza si sarebbe diluita fino quasi a sparire.

Ecco dunque che il 22 dicembre la famiglia decide di astenersi, lamentando l’assenza di un piano industriale. Blocca così la strada che avrebbe portato in primavera all’aumento di capitale. È a questo punto che interviene, a sorpresa, la Bce con un commissariamento in continuità con la gestione dell’istituto. L’effetto ottenuto è che ora Modiano e Innocenzi potranno continuare a lavorare senza la presenza ingombrante dei Malacalza, abituati a comandare a tal punto da fissare loro riunioni con i responsabili delle filiali.

Ora cominciano i sei mesi di passione. I commissari, oltre a trattare l’abbassamento del tasso d’interesse con Maccarone e il prezzo dei crediti cattivi con i compratori, incontreranno già nei prossimi giorni i sindacati, che proveranno a rassicurare spiegando che si prefiggono di portare in un semestre la banca al riparo, in un porto che magari non sarà quello di Genova. Finora però nessun pretendente, tra i tanti evocati (Unicredit, Intesa, Ubi, Montepaschi…) si è fatto avanti, né con i commissari, né con l’advisor Ubs. Aspettano tutti di capire come si evolve la situazione.

Intanto domani Modiano e Innocenzi cominceranno a parlare con il ministro Tria. Sapendo che la linea del governo – e soprattutto della componente Cinquestelle – è “non un soldo per le banche”. I commissari fanno mostra di non averne bisogno. Racconteranno i loro programmi al ministro e ricorderanno che il collasso costerebbe allo Stato almeno 7 miliardi (per garantire i depositi sotto i 100 mila euro), mentre se il risanamento procederà, la banca si ritroverà con risorse ora nascoste di almeno 2 miliardi (crediti fiscali e alleggerimento dei carichi finanziari). Una bella dote da portare a chi la chiederà in sposa. Ma il traguardo è ancora lontano. (Il Fatto quotidiano, 6 gennaio 2019)

 

Per Carige arriva l’ombrello di Stato
E un comma nascosto nella finanziaria fa entrare in scena la fatina Sga

L’operazione salvataggio è partita. Ieri, 7 gennaio 2019, i commissari di Carige (Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener) hanno incontrato in mattinata il ministro dell’Economia Giovanni Tria e nel pomeriggio il presidente del Fondo interbancario Salvatore Maccarone. In serata, si è riunito il Consiglio dei ministri che ha varato un decreto salvabanche per permettere a Carige di accedere a forme di sostegno pubblico: concessione della garanzia dello Stato su bond di nuova emissione e su finanziamenti d’emergenza di Bankitalia. Potrà anche chiedere una ricapitalizzazione statale “precauzionale”, come accaduto con Montepaschi.

Intanto parte il piano di ripulitura della banca genovese dai crediti deteriorati, che ora sono 2,8 miliardi (erano 4,4 al 30 settembre 2018). Interlocutore privilegiato sarà la Sga, Società per la Gestione di Attività, specializzata nella gestione del credito deteriorato e detenuta dal ministero dell’Economia. Se comprasse in blocco (e senza gara) gli incagli di Carige, la banca potrebbe cominciare a guardarsi intorno con più tranquillità per cercare un compratore non a prezzi di saldo. Anche perché una società pubblica potrebbe concedere condizioni d’acquisto degli incagli più favorevoli di quelle del mercato, che pretende un margine di rendimento attorno al 15 per cento. Sga potrebbe scendere sotto il 10, realizzando comunque un’operazione di mercato, senza contravvenire alla regola che sta tanto a cuore al governo Conte e ai Cinquestelle: “Niente soldi dello Stato alle banche”.

Ma allora il problema è: con quali risorse la Sga potrebbe portare a casa l’intero pacchetto di crediti deteriorati e incagli? Sorpresa: c’è un comma della legge di bilancio 2019 approvata il 30 dicembre che sembra fatta su misura per Carige. È il numero 35 dell’articolo 18. Dice che “il ministero dell’Economia è autorizzato ad apportare, con propri decreti, per l’anno finanziario 2019, variazioni compensative tra le spese per la partecipazione italiana a banche, fondi e organismi internazionali” e “le spese connesse con l’intervento diretto di società partecipate dal ministero all’interno del sistema economico, anche attraverso la loro capitalizzazione”. Insomma, i soldi già stanziati per le banche, per proteggere il sistema finanziario potranno essere spostati per capitalizzare società partecipate dal ministero dell’Economia: la Sga, dunque (più che la Cassa depositi e prestiti), che avrà nuove risorse per comprare i crediti cattivi di Carige.

Sga, nata nel 1997 come bad bank del Banco di Napoli e poi finita nel gruppo Intesa Sanpaolo, è stata venduta nel 2016 al ministero dell’Economia. Nel 2017 ha acquistato i crediti deteriorati (valore nominale 18 miliardi) di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. In quel caso Sga non ha pagato un prezzo, ma si è impegnata a rimettere agli amministratori della liquidazione coatta delle due banche venete i proventi di quanto recuperato dai crediti, fatta salva la loro commissione. L’operazione era stata finanziata da Intesa con 5 miliardi, interamente garantiti dallo Stato. Sga è già intervenuta in Carige, partecipando con 30 milioni all’aumento di capitale lanciato nel 2018 dall’allora amministratore delegato Paolo Fiorentino. (Il Fatto quotidiano, 8 gennaio 2019)

 

 

Il Fatto quotidiano, 6 gennaio 2019 e 8 gennaio 2019
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