GIUSTIZIA

Salvini: “Cancelleremo la mafia”. Ruspe, selfie, molte parole, ma pochi fatti

Salvini: “Cancelleremo la mafia”. Ruspe, selfie, molte parole, ma pochi fatti

“Possono tener duro ancora qualche mese o qualche anno, ma mafia, camorra e ’ndrangheta saranno cancellate dalla faccia di questo splendido Paese”. È un Matteo Salvini da brivido, quello che annuncia in tempi brevi la fine delle mafie. “Lo Stato deve fare lo Stato, con le buone, dove è possibile. Con mafia, camorra e ndrangheta in ogni maniera permessa dal codice civile e penale”. C’è da credergli? Il ministro dell’Interno è stato in questi mesi molto attivo nei proclami antimafia. Ieri a Sorbolo, in provincia di Parma, dove ha consegnato alla Guardia di finanza due immobili sequestrati alla ’ndrangheta. Un mese fa alla Romanina, dove ha voluto guidare, caschetto bianco in testa, la ruspa dell’esercito che ha abbattuto la villa confiscata alla famiglia Casamonica: “Ruspare la villa di un mafioso è qualcosa per cui vale la pena fare il ministro”.

Toni sempre molto roboanti: “Per i mafiosi e i camorristi la pacchia è finita”, ha gridato il 1° luglio dal palco di Pontida. “Via. Via dalla Sicilia come dalla Lombardia. È l’inizio di una guerra che combatteremo con tutte le armi che la democrazia ci mette a disposizione”. Gesti simbolici, come il tuffo del 3 luglio nella piscina di un’azienda agricola sequestrata ai mafiosi a Suvignano, nei pressi di Siena. Con apposito post fu Facebook: “Mafiosi e scafisti, per me siete le stesse merde. Non so se un ministro possa dire merda. Deve essere chiaro che in Italia voi avete finito di fare affari, per voi la pacchia è finita”.

Con qualche scivolata, come l’annuncio dell’arresto a Torino “di 15 mafiosi nigeriani” mentre l’operazione era ancora in corso, con il rischio di far fuggire quelli che la polizia non aveva ancora trovato. E con qualche dubbio di chi l’antimafia la fa da una vita, come Gian Carlo Caselli. L’ex procuratore di Torino ritiene che alle tante parole facciano da contrappunto pochi fatti: soltanto quelli contenuti nelle norme del decreto Sicurezza che riguardano la possibilità – molto criticata dall’associazione Libera – di vendere i beni confiscati alle organizzazioni criminali.

“Intanto dobbiamo ribadire che le confische di beni, a cui il ministro dell’Interno è molto presente, non sono merito del Viminale, ma della magistratura”, ricorda Caselli, “quanto alla vendita dei beni confiscati, il rischio è che la mafia se li ricompri. Se sono attività o immobili che lo Stato non riesce a gestire o ad affidare ad attività socialmente utili, va bene la vendita, ma almeno con qualche cautela: non basta chiedere al compratore il certificato antimafia, si dovrebbe impiegare il ricavato a destinazioni antimafia, come la costruzione di nuovi carceri, il rafforzamento del 41 bis, il sostegno all’antiracket o alle vittime della mafia… Così i mafiosi non ci metterebbero i loro soldi”.

I magistrati e le associazioni antimafia colgono altri segnali che ritengono negativi nell’attivismo di Salvini. Le sue polemiche sulle scorte e sulla protezione a chi è minacciato dalle organizzazioni criminali. La diffidenza nei confronti delle cooperative e delle associazioni antimafia che in molti casi gestiscono i beni confiscati. Caselli, che ora si occupa di agromafie, ricorda che un compagno di partito e di governo di Salvini, il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio, ha annunciato la sua volontà di cambiare la legge sul caporalato “che invece funziona bene e incide sulle connessioni tra caporalato e organizzazioni criminali”. Ma il segnale più grave, dicono i magistrati antimafia, è l’innalzamento della soglia per il denaro non tracciabile: “È un regalo ai boss”.

Il Fatto quotidiano, 19 dicembre 2018
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