Consorte: “Ecco perché Cmc è in crisi. E il sistema Coop è al limite”
Gianni Consorte il mondo delle coop lo conosce bene, per aver guidato Unipol, la compagnia assicurativa del sistema cooperativo, fino al 2005, quando, bloccata la sua scalata a Bnl, fu travolto dalla sconfitta dei “furbetti del quartierino”. Oggi il sistema coop mostra qualche crepa: alcune cooperative di consumo sono fallite e una grande coop di costruzioni, la Cooperativa muratori e cementieri di Ravenna, ha chiesto il concordato preventivo. Consorte è convinto che, sopra un certo livello di affari, il sistema coop non aiuti le aziende a espandersi.
Che cosa sta succedendo alla Cmc, 7 mila dipendenti, oltre cent’anni di storia?
Una grave crisi di liquidità che il 4 dicembre l’ha portata a chiedere l’ammissione al concordato preventivo. Le commesse però ci sono.
Le difficoltà di Cmc si sommano a quelle delle altre grandi aziende italiane di costruzioni, Astaldi, Condotte, Grandi lavori Fincosit…
La Cmc ha una situazione diversa dalle altre imprese. Astaldi è andata in crisi per effetto della crisi in Venezuela e in Turchia. Condotte lavora prevalentemente in Italia, ma ha avuto problemi in importanti appalti in Algeria. Cmc invece all’estero va bene: ha un portafoglio commesse di 4,6 miliardi di euro di cui 3,4 all’estero. I suoi problemi derivano tutti da lavori in Italia e in particolare da commesse Anas in Sicilia. Anas ha 9 miliardi di contenziosi con le imprese di costruzione, di cui 1,2 con Cmc. E il problema è ormai diventato politico: Anas non ha più una guida, dopo che il 7 novembre l’amministratore delegato Gianni Vittorio Armani si è dimesso. C’è un vuoto di potere non più tollerabile.
I contenziosi riguardano le varianti, le opere aggiuntive. Ed è su queste che le imprese di costruzioni fanno utili, più che sulle opere appaltate.
La risoluzione dei contenziosi da parte delle stazioni appaltanti è bloccata da un sistema di controlli che uccide i cantieri e le imprese. Giusto che i controlli ci siano, ma dovrebbero almeno avere tempi certi e rapidi. Invece ora se si apre un contenzioso interviene l’Anac, cioè l’Autorità anticorruzione; poi la Corte dei conti; infine, in molti casi, le Procure della Repubblica e i giudici. E i tempi della giustizia non sono compatibili con quelli della gestione di un contratto d’appalto. Alla fine, si arriva a transazioni che sono il 20 o il 30% delle richieste iniziali. Nel caso di Cmc parliamo quindi di centinaia di milioni di euro, che risolverebbero l’attuale crisi di liquidità.
Non ci sono motivi di mercato, dunque, dietro la crisi di Cmc e delle imprese di costruzione?
Le opere pubbliche e più in generale gli investimenti pubblici dovrebbero essere rilanciati. Sono questi che fanno crescere l’economia e il Pil del Paese: basti pensare che, secondo alcune stime, la crisi delle grandi imprese di costruzione (Cmc, Astaldi, Condotte, Grandi lavori, Trevi ecc.) determina 6 miliardi di euro in meno di fatturato che vale circa lo 0,4-0,5% in meno di Pil. Ma oggi le aziende entrano in crisi non perché non ci siano lavori, non per motivi di mercato dunque, ma a causa dei contenziosi sui lavori in corso che ci sono. Poi esistono, a ben guardare, anche dei motivi interni alle imprese, come la sottocapitalizzazione. Hanno una sproporzione tra patrimonio netto e giro d’affari. Quando vincono un appalto, devono anticipare loro la finanza necessaria per aprire i cantieri, per i macchinari, per il personale… Così si devono indebitare e appesantire di oneri finanziari i loro conti economici. Questo, insieme ai contenziosi, le porta alla crisi. È un circolo vizioso.
Questo vale per tutte le imprese di costruzioni. Ci sono problemi specifici per quelle coop?
Sì. Non possono ricorrere, a differenza delle altre imprese loro concorrenti, ad aumenti di capitale, perché nell’azienda cooperativa non è possibile. Sopra un certo livello di affari, il sistema cooperativo non può espandersi.