AFFARI

Google, le tasse non pagate

Google, le tasse non pagate

Terminata l’inchiesta della Procura di Milano su Google. Ieri l’avviso di chiusura indagini – che precede la richiesta di rinvio a giudizio – è stato notificato a cinque manager della società, accusati di omessa dichiarazione dei redditi per gli anni 2009-2013, con un mancato versamento di tasse per circa 227 milioni di euro per redditi prodotti in Italia. L’inchiesta della procura milanese, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco, ha analizzato l’attività realizzata nel nostro Paese dall’azienda che gestisce il più importante motore di ricerca web nel mondo. Dal 2014 Google ha regolarizzato la sua posizione fiscale e paga all’erario italiano in misura della sua attività. Non così negli anni precedenti, secondo la magistratura milanese e la Guardia di finanza che ha condotto le indagini. Alla società vengono mossi due rilievi.

Il primo. L’azienda, che ha sede a Mountain View, in California (Usa), fino al 2013 – secondo l’ipotesi d’accusa – avrebbe dirottato gli utili prodotti in Italia a una società con sede a Dublino, Google Ireland Ltd. Secondo la Guardia di finanza, Google in Italia negli anni 2009-2013 ha un volume d’affari di oltre 1 miliardo di euro, con un imponibile di circa 100 milioni su cui avrebbe dovuto versare l’Ires (il 27 per cento) di circa 27 milioni. Versamenti mai fatti.

Il meccanismo utilizzato era semplice: il reddito generato in Italia raccogliendo contratti di pubblicità siglati da clienti italiani era fatturato da Google Ireland Ltd e non da Google Italia, che in realtà aveva svolto il lavoro. Così l’azienda risparmiava circa la metà delle tasse, perché in Irlanda le imposte da pagare sono circa il 50 per cento di quanto dovuto in Italia.

Il secondo rilievo riguarda invece i costi. Derivano in maggior parte dal pagamento delle royalties che tutte le società del gruppo statunitense devono pagare all’azienda che detiene il marchio Google. In questo caso, si tratta di 600 milioni di euro di royalties pagati a una società olandese che a sua volta ripagava una società irlandese, che aveva però domicilio fiscale alle Bermuda, Paese “a fiscalità privilegiata”.

La legge italiana prevede che le royalties vadano sottoposte a una ritenuta di acconto, la cui aliquota arriva fino al 30 per cento nel caso i soldi finiscano in un Paese a fiscalità privilegiata. Quindi, su 600 milioni di euro di royalties, tra il 2009 e il 2013 si sarebbe dovuta applicare una ritenuta d’acconto complessiva di 200 milioni di euro. Anche questi soldi non sono stati versati nelle casse del fisco italiano. Ecco dunque come si forma la cifra complessiva di 227 milioni, contestata dalla Guardia di finanza a Google al termine di una verifica fiscale. La notifica di fine indagini è stata fatta presso la sede di Google in Italia e a un avvocato d’ufficio, poiché il legale che segue la società, l’avvocato ed ex ministro Paola Severino, non avrebbe ancora depositato in cancelleria la nomina.

Le contestazioni a Google fanno seguito a quelle a un’altra azienda Usa, la Apple, che aveva ricevuto un verbale che le imputava di aver nascosto al fisco italiano 1 miliardo di euro d’imponibile. Il contenzioso fiscale si è concluso a gennaio 2016 con un “accordo d’accertamento” e il pagamento di 318 milioni versati da Apple al Fisco.

Il Fatto quotidiano, 1 marzo 2016
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