SEGRETI

L’Italia condannata per il rapimento Abu Omar

L’Italia condannata per il rapimento Abu Omar

E infine è arrivata la condanna: l’Italia ha violato i principi della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, nella vicenda del rapimento e della detenzione illegale dell’ex imam Abu Omar. Lo ha stabilito ieri la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo: “Le autorità italiane erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima di un’operazione di extraordinary rendition cominciata con il suo rapimento in Italia e continuata con il suo trasferimento all’estero”; nonostante ciò, “l’Italia ha applicato il legittimo principio del segreto di Stato in modo improprio e tale da assicurare che i responsabili del rapimento, della detenzione illegale e dei maltrattamenti ad Abu Omar non dovessero rispondere delle loro azioni”.

Nasr Osama Mostafa Hassan, detto Abu Omar, imam egiziano della moschea milanese di via Quaranta, fu rapito a Milano da agenti della Cia il 17 febbraio 2003 e trasferito in Egitto, dove fu a lungo torturato. La rendition ebbe l’effetto di sottrarlo alla Procura di Milano, che lo aveva già posto sotto inchiesta per associazione con finalità di terrorismo internazionale, reato per il quale nel 2013 sarà condannato a 6 anni. Le indagini sul rapimento, dirette da Ferdinando Pomarici e Armando Spataro nella Procura allora guidata da Manlio Minale, scoprono che la rendition era stata realizzata dalla Cia con l’assistenza del Sismi, il servizio segreto militare italiano.

Al termine dei processi, tutti condannati i 26 cittadini americani che parteciparono all’operazione, tra cui l’allora capo della Cia in Italia, Jeff Castelli. Sotto processo vanno anche gli italiani del Sismi, ma i governi che si succedono dal 2005 al 2013 (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta) aprono conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato, ricorrendo alla Corte costituzionale contro pm e giudici. Risultato: gli imputati italiani, Niccolò Pollari, Marco Mancini, Raffaele Di Troia, Luciano Di Gregori e Giuseppe Ciorra, sono prima condannati, ma poi prosciolti a causa del segreto di Stato, esistente non sul fatto-reato, ma sugli assetti interni dei servizi di sicurezza e sui loro rapporti con la Cia.

La sentenza di Strasburgo da una parte constata che “il principio legittimo del segreto di Stato è stato con tutta evidenza applicato per impedire che i responsabili rispondessero delle proprie azioni”; dall’altra riconosce il buon lavoro dei magistrati: “Nonostante gli sforzi degli inquirenti e giudici italiani, che hanno identificato le persone responsabili e assicurato la loro condanna, questa è rimasta lettera morta a causa del comportamento dell’esecutivo”.

Non solo: sei ministri della Giustizia (Roberto Castelli, Clemente Mastella, Luigi Scotti, Angelino Alfano, Nitto Palma e Paola Severino) evitano di chiedere agli Stati Uniti l’arresto dei 26 condannati per sequestro di persona. E i presidenti della Repubblica concedono la grazia: Giorgio Napolitano al colonnello Joseph Romano; Sergio Mattarella ad altri due condannati, Betnie Medero e Robert Seldon Lady, il capoantenna della Cia a Milano. Dunque l’Italia lascia alfine senza risposta e senza rimedio interno al sistema giudiziario la richiesta di giustizia di Abu Omar. Ecco perché dev’essere condannata. Ha violato cinque diritti umani: la proibizione di trattamenti umani e degradanti, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto a effettivi rimedi giudiziari, il diritto al rispetto della vita familiare.

È il paradosso del caso Abu Omar: l’Italia è l’unico Stato al mondo in cui la magistratura ha indagato e condannato i responsabili di una delle tante extraordinary rendition realizzate dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001; ed è anche l’unico (in compagnia della Macedonia) a essere condannato dalla Corte europea perché il governo ha violato i diritti dell’uomo.

 

Parla Pomarici:
“Sono contento perché la sentenza europea
ci ha restituito l’onore,
ma sono addolorato per l’Italia”

Ora che la sentenza è arrivata, Ferdinando Pomarici, che con Armando Spataro ha diretto le indagini sul rapimento Abu Omar, è ormai andato in pensione e si sente libero di commentare: “La mia previsione si è avverata. Dicevo: vedrai che condanneranno l’Italia. La sentenza della Corte di Strasburgo distingue nettamente i comportamenti: da una parte, la polizia e la magistratura che hanno agito correttamente; dall’altra, il governo e la Corte costituzionale che hanno posto e confermato il segreto di Stato, impedendo ai processi di arrivare alle loro conclusioni. Io sono soddisfatto di questa sentenza, a livello personale: ce ne hanno fatte e dette di ogni colore, durante questo procedimento. Siamo stati accusati di aver favorito il terrorismo. Noi, con la nostra storia. Il primo procedimento in Italia contro il terrorismo islamico è stato aperto da noi. E lo stesso Abu Omar era da noi indagato prima del sequestro”.

Ma Pomarici e Spataro hanno indagato anche su chi lo ha sequestrato e dato in pasto ai suoi torturatori. “Non riesco a dimenticare che un presidente emerito della Repubblica (Francesco Cossiga, ndr) ci ha denunciato per reati gravissimi e la Procura di Brescia ci ha indagato per 6 mesi, e poi ha chiesto una proroga di altri 6 mesi. E meno male che il gip ha respinto la richiesta, dicendo che le accuse nei nostri confronti erano destituite di ogni fondamento”.

Pomarici è un fiume in piena: “Anche l’avvocatura dello Stato, sollevando per conto del governo il conflitto d’attribuzione tre poteri dello Stato, ci ha accusato di condotte scorrette. Noi siamo sempre stati in silenzio e abbiamo sopportato tutto. Ora la Corte di Strasburgo ci ha restituito l’onore che alcune istituzioni dello Stato avevano messo in dubbio. Per questo sono contento, ma nello stesso tempo non posso negare di avere una grande amarezza perché l’Italia, il mio Paese, è stata riconosciuta connivente in un sequestro di persona. Noi abbiamo indagato sempre rispettando il codice, mentre tutti i governi che si sono succeduti si sono dati da fare per impedire non che emergesse la verità, perché quella l’abbiamo scoperta, ma perché i responsabili non fossero puniti. Io credo anche per evitare che emergessero le responsabilità dei politici, dietro a quelle degli apparati di sicurezza. Non dimentico che il direttore del Sismi Niccolò Pollari, quando fu rinviato a giudizio come complice del sequestro, lanciò un segnale: ‘Nessuno creda che se vado a fondo, io ci vada da solo’, disse.

“È probabile che abbia avuto il via da esponenti politici di governo. Magari era davvero contrario al sequestro, come dice, ma ha obbedito agli ordini. Del resto, i governi hanno tutti sollevato davanti il conflitto d’attribuzione nei confronti della magistratura. E alcuni condannati hanno addirittura ricevuto la grazia. Per carità, la grazia è una prerogativa del Capo dello Stato, ma mai alcun governo italiano ha trasmesso al governo degli Stati Uniti le nostre richieste d’arresto per i condannati americani. E oggi il governo dice di pretendere trasparenza dal governo egiziano sul caso Regeni, il ragazzo italiano sequestrato e ucciso in Egitto? Ma il governo italiano deve fare innanzitutto chiarezza sul suo comportamento nei confronti di un cittadino egiziano lasciato sequestrare in Italia, dove aveva ottenuto l’asilo politico, e consegnato ai suoi torturatori in Egitto. Se vogliamo chiarezza su Regeni, togliamo il segreto di Stato su Abu Omar. Ma no, escludo che ciò possa accadere”.

Il Fatto quotidiano, 24 febbraio 2016
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