Sala, mezzo milione di bugie. Da Expo alla villa
Giuseppe Sala lo ha detto chiaro e tondo: “Non accetto nessuna minima illazione sulla mia onestà”. Certo, fino a prova contraria, il commissario di Expo ora in corsa per la poltrona di sindaco di Milano non ha commesso violazioni del codice penale. Ma nella gestione del più grosso investimento pubblico fatto a Milano negli ultimi decenni, l’ex city manager di Letizia Moratti ha inanellato una lunga serie di comportamenti sul filo della legalità, spregiudicati, poco opportuni. Eccone alcuni.
Tutti al mare! Sala e camera con svista
L’ultimo inciampo è quello sulla sua villa di Zoagli, golfo del Tigullio. Ci hanno lavorato Michele De Lucchi, l’archistar che ha realizzato il Padiglione Zero, con sulla scena anche Matteo Gatto, un dipendente di Expo spa che ha lavorato al Masterplan dell’esposizione. De Lucchi ammette subito: ha eseguito un intervento “limitato al completamento di alcuni aspetti degli interni e delle finiture esterne della casa. Con compenso pari a 70 mila euro più Iva”. Sala spiega, ma spiegando peggiora le cose. “In Expo l’architetto Michele De Lucchi ha avuto un totale di 110 mila euro per tre incarichi”.
Lo smentisce il Corriere della sera: i soldi sono molti di più, almeno 600 mila. Messi insieme con due trucchi. Il primo: spezzettare in tre il primo incarico, per aggirare la norma che impone di mettere a gara i lavori sopra i 40 mila euro. Il secondo: con il motivo della “continuità”, far fare il resto del lavoro allo stesso architetto, sempre senza gara pubblica, ma con una triangolazione; a pagare, per conto di Expo, è Fiera Milano spa, che essendo una società di diritto privato (a differenza di Expo spa che è pubblica), può fare affidamenti diretti per qualunque cifra. Sala, colto a mentire, la butta in politica: “Mi attaccano perché sono un candidato credibile”.
Soldi a palate senza gare d’appalto
Il giochetto di frazionare gli appalti a Expo è stato fatto decine di volte. Era la prassi, per poter affidare incarichi senza i fastidi della gara pubblica. Più in generale, sono 170 gli appalti su cui ha avuto da ridire l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) poi confluita nell’Autorità anticorruzione (Anac) e affidata al magistrato Raffaele Cantone, proprio per cercare di mettere un freno al malcostume di Expo. La maggior parte delle commesse sono state affidate senza gara d’appalto. Per farlo, Sala ha potuto giovarsi delle prerogative di commissario straordinario e dei decreti che assimilavano il grande evento Expo 2015, prevedibilissimo perché assegnato all’Italia nel 2008, a un intervento in emergenza.
Una giustificazione su cui si è marciato alla grande. Soldi a palate ai media, tv e grande stampa, per creare consenso attorno all’evento. Finanziamenti a pioggia agli amici. Senza gara Sala ha affidato anche il più importante appalto nella ristorazione di Expo: alla Eataly di Oscar Farinetti, amico e finanziatore del presidente del Consiglio Matteo Renzi, è stata concessa la gestione “del più grande ristorante del mondo”, 8 mila metri quadrati, 20 ristoranti, in cui si sono dati il cambio 120 ristoratori scelti da Farinetti.
Una segnalazione di Cantone alla Procura di Milano, dopo gli articoli del Fatto quotidiano, ha fatto avviare un’inchiesta silenziosissima, poi silenziosamente chiusa con un’archiviazione. Nessun reato, però la certezza che Sala ha assicurato a Farinetti “condizioni economiche particolarmente vantaggiose” e “di maggior favore” se “paragonate a quelle più rigorose” per gli altri operatori della ristorazione”.
Un affidamento a cui nessuno invece ha fatto caso, di importo ridotto eppure emblematico della disinvoltura del commissario con i soldi pubblici, è quello a Skira, casa editrice di libri d’arte di proprietà dell’amico Massimo Vitta Zelman. Expo paga a Skira, nel 2014, 30 mila euro per la realizzazione del volume – la cui utilità per Expo è sconosciuta, così come le vendite – La piazza imbandita. Evidentemente gratificata da tante attenzioni, Skira pubblica qualche mese dopo un libro scritto da Sala in persona: Milano sull’acqua. È il testo-base della promessa di “riaprire i Navigli” fatta dal candidato Sala nella sua campagna elettorale. Contattato dal Fatto, l’ufficio stampa di Skira dichiara che non sono stati riconosciuti compensi all’autore. Si tratta comunque di uno scambio di cortesie a base di soldi pubblici che definire inelegante è un eufemismo.
Audite audite! Se questo è un manager
A evidenziare la disastrosa gestione dell’evento dal punto di vista strettamente manageriale è stato, già nel 2013, l’audit, obbligatorio, condotto da due società indipendenti sull’appalto della “piastra”, vinto dalla Mantovani. I consulenti allineano quindici osservazioni pesantemente critiche. Bacchettano direttamente Sala che, come amministratore delegato, ha potere di spesa per 10 milioni. Eppure “alcune determine a contrarre opere complementari superano nell’insieme” quella soglia e “sono assunte dall’amministratore delegato nell’arco temporale ristretto di circa due mesi”, e per di più “prima dell’informativa fornita in consiglio d’amministrazione” che “in modo cumulativo approva l’affidamento”.
Anche qui: il trucco è di frazionare gli incarichi per eludere il tetto. Sala, con sette determine tutte sotto i 10 milioni, affida alla Mantovani lavori per 34 milioni. Il tutto condito con osservazioni che farebbero arrossire un manager al primo incarico: “Inaccuratezze nella predisposizione delle determine”, “refusi nell’indicazione del valore massimo di spesa”, “riferimenti a documenti interni non presenti”. Tutta l’organizzazione dei lavori è un disastro: “Si rileva l’assenza di specifici mansionari per le figure dell’ufficio, che faciliterebbero la chiara definizione di ruoli, nonché la piena tracciabilità delle attività svolte”.
Non risultano controlli “sulle progettazioni svolte da soggetti esterni” (Mm, Infrastrutture Lombarde, Fiera Milano), con la conseguenza di “errati computi metrici utilizzati per l’analisi dei prezzi”. “Nessuno all’interno di Expo ha controllato il computo metrico di scavi e fondazioni, opere caratterizzate da alto rischio di azioni corruttive”. Sono state inoltre “adottate in modo illegittimo delle deroghe all’applicazione del codice appalti”. Gravissimo il rilievo sulla “inadeguata modalità di conservazione della documentazione di gara”: “È emerso che anche Ilspa disponeva della chiave dell’armadio” dov’erano conservate le carte, così “la graduatoria delle offerte qualitative poteva essere conosciuta, oltre che dalla commissione, anche da altro personale di Ilspa”.
Vicenda emblematica è quella dei 6 mila alberi da piantare a Expo. Affidamento nel luglio 2013, senza gara, sempre alla Mantovani, per 4,3 milioni: 716 euro a pianta. La Mantovani passa l’incarico a un vivaio per 1,6 milioni: 266 euro a pianta. Sala ha pagato le piante quasi tre volte il loro valore.