Felice Isnardi, il guastafeste che fa paura a Sala e Ligresti
Ha salutato con un piccolo brindisi nel bar interno al Palazzo di giustizia: per Felice Isnardi ieri era il giorno del suo settantesimo compleanno e dunque anche il suo ultimo giorno di lavoro in Procura generale. Lascia ai colleghi la più delicata tra le indagini in corso a Milano: quella sul sindaco Giuseppe Sala. È stato Isnardi a riaprire, alla fine del 2016, le indagini su Expo, dopo aver denunciato “l’inerzia” della Procura, che aveva chiuso il caso della “piastra” (l’infrastruttura di base dell’esposizione universale) chiedendo un’archiviazione. La Procura generale guidata da Roberto Alfonso ha avocato il fascicolo e Isnardi ha riaperto la partita, indagando anche Sala, che di Expo è stato commissario e amministratore delegato. Per due possibili reati. Falso ideologico e materiale, per aver retrodatato il documento che indicava i commissari di gara per il più ricco degli appalti Expo (272 milioni). E turbativa d’asta, per aver scorporato da quell’appalto la fetta sulla fornitura di alberi (5 milioni), così, fuorisacco, senza rifare la gara.
Per il falso, Isnardi ha chiesto il rinvio a giudizio di Sala, che sarà discusso nell’udienza preliminare il prossimo 14 dicembre. Per la turbativa d’asta, ha ritenuto necessario un approfondimento delle indagini, in una materia complessa e in un quadro compromesso da anni di ritardi e inerzie investigative. Ora saranno due suoi colleghi della Procura generale a ereditare l’indagine. Isnardi se ne va dopo una vita passata a fare il guastafeste. Negli ultimi mesi non ha riavviato solo le indagini su Expo, ma anche quelle sul Monte dei Paschi di Siena: è valorizzando una perizia da lui richiesta che il giudice dell’udienza preliminare ha contraddetto, nell’aprile scorso, la Procura di Milano e chiesto l’imputazione coatta per l’ex presidente di Mps Alessandro Profumo, l’ex amministratore delegato Fabrizio Viola e l’ex presidente del collegio sindacale Paolo Salvadori.
Nato a Salerno il 2 novembre del 1947, slegato dalle correnti della magistratura, Isnardi è sempre stato lontano dai riflettori. Alle telecamere preferisce i romanzi di Gianrico Carofiglio e la cura dei suoi ulivi nella campagna salernitana. A fare il guastafeste ha cominciato, senza clamori, nel 1991, un anno prima di Mani Pulite, quando prese per i capelli un’inchiesta iniziata nel 1986 che stava per morire senza alcun risultato. Era lo “scandalo delle aree d’oro”, con imputato principale uno degli uomini in quel momento più potenti di Milano e d’Italia: Salvatore Ligresti, immobiliarista, finanziere, grande amico dei politici della Prima Repubblica. Riuscì a ottenere almeno un patteggiamento dall’allora “intoccabile” Ligresti.
Indagò per truffa e circonvenzione d’incapace un altro “intoccabile”, Armando Verdiglione, negli anni Ottanta guru della psicanalisi-spettacolo e grande amico di Bettino Craxi. Negli ultimi anni, Isnardi si è impegnato sul caso di Giuseppe Uva, morto a Varese nel 2008 dopo essere stato fermato dalle forze dell’ordine e portato in una caserma. Anche a Varese intervenne a togliere l’inchiesta a due pm, entrambi poi finiti di fronte alla commissione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura per come avevano gestito il caso, proteggendo di fatto i due carabinieri e i sei poliziotti indagati. È stato il pg anche del processo all’ex presidente della Provincia di Milano Guido Podestà sulle firme false, che provocò uno dei tanti conflitti tra il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il suo capo Edmondo Bruti Liberati. Ora lascia la sua stanza, come sempre con un sorriso.