MILANO

Il patto destra-Pd salva Sala ma condanna l’Italia. Già tolti 1,3 miliardi ai milanesi

Il patto destra-Pd salva Sala ma condanna l’Italia. Già tolti 1,3 miliardi ai milanesi

Un cammino lungo e accidentato, quello del salva-Milano. Da mesi annunciato, promesso, invocato, discusso, tentato, ritirato, modificato, riproposto, oggi sarà approvato alla Camera, prevedibilmente con i voti della destra, del Pd e di Azione e l’opposizione di Cinquestelle e di Alleanza verdi e sinistra. Ha provato il ministro Matteo Salvini a infilarlo prima nel decreto legge Salva-casa, poi in quello sulle infrastrutture. Infine è diventato una proposta di legge di un solo articolo in nove commi, firmata dai rappresentanti dei quattro partiti della destra, Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati.

Era una evidente sanatoria, che condonava i grandi abusi edilizi sotto indagine a Milano. Prima del voto in Commissione Ambiente, però, il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, ha buttato via sei dei nove commi della sua sanatoria per trasformarla, su richiesta del Pd, in “legge d’interpretazione autentica”. Era la richiesta del sindaco di Milano, Giuseppe Sala: un condono sarebbe stato l’ammissione che a Milano il Comune concede da anni permessi di costruire fuorilegge.

Sala ha preteso l’“interpretazione autentica”, cioè la dichiarazione che le regole urbanistiche seguite a Milano sono legittime. Così un “onesto” condono della destra per le irregolarità del passato è diventato una legge che sarà valida anche per il futuro e che scasserà le regole per costruire in tutta Italia e per sempre.

LA LEGGE. La legge numero 1987 interviene proprio sulle norme urbanistiche che i pm  di Milano ritengono violate e sulle quali hanno già aperto una ventina d’inchieste, con decine di indagati tra costruttori, progettisti e dirigenti del Comune che hanno firmato permessi ritenuti illegittimi. Nuove costruzioni fatte passare per “ristrutturazioni”, con grattacieli di venti piani edificati al posto di piccoli laboratori completamente abbattuti, e grandi operazioni realizzate con una semplice Scia (un’autocertificazione del costruttore) mentre per legge sarebbe necessario un piano attuativo, che ricalcoli (e faccia pagare ai costruttori) i servizi (verde, parcheggi, scuole eccetera) necessari per l’arrivo in una zona di centinaia di nuovi abitanti.

È il “rito ambrosiano”, la colossale deregulation urbanistica che ha attirato enormi capitali a Milano, ma ha anche aumentato il consumo di suolo (dati Ispra), l’inquinamento (dati Esa e Arpa), consegnato la città alla rendita e accresciuto il costo della vita e soprattutto dell’abitare in città, con la conseguente espulsione negli ultimi anni di 40 mila famiglie. La chiamano “rigenerazione urbana”. Ma “in questi anni non si è fatta rigenerazione urbana, bensì densificazione a vantaggio zero per i cittadini”, spiega Elena Granata, docente d’Urbanistica al Politecnico.

CAOS? Sala e i fautori della salva-Milano hanno chiesto un intervento legislativo sostenendo la necessità di mettere ordine nel “caos urbanistico”, un “groviglio” di norme “contraddittorie” e “confuse”, che hanno bisogno di “essere interpretate”. Lo ripetono da mesi anche l’assessore alla Rigenerazione urbana Giancarlo Tancredi, i costruttori, i consulenti dei costruttori come Ada Lucia De Cesaris (ex assessore all’Urbanistica di Pisapia), la presidente dei costruttori milanesi, Regina De Albertis, il presidente di Assolombarda, Alessandro Spada, il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini.

A tutti hanno risposto una decina di giudici (gip e del Tribunale del riesame) che si sono già espressi sulle inchieste in corso e concordemente hanno sostenuto che no, non c’è alcuna contraddizione normativa, che le leggi sono chiare e non hanno bisogno di alcuna interpretazione autentica. Per dimostrarlo, hanno citato decine di sentenze della Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte costituzionale. Concordi a sostenere che “ristrutturazione” non può essere l’abbattimento completo di un capannone sostituito con un paio di grattacieli (è successo al Parco delle cave e in tanti altri casi). E che per fare operazioni immobiliari che portano centinaia di nuovi abitanti in un quartiere non basta una Scia, ma è necessario un piano attuativo.

Le uniche norme dissonanti sono quelle del “rito ambrosiano”, circolari comunali e delibere di giunta che non possono certo sostituire le leggi nazionali e regionali. Lo hanno ribadito, da ultime, anche le giudici Savoia-Ambrosino-Alonge: gli “strumenti di pianificazione comunali” non possono produrre a Milano né l’“implicita abrogazione”, né la “non applicabilità” delle norme regionali e nazionali sull’urbanistica; e “tesi alquanto inedita” è provare a sostenerlo in base a “circolari” o a scelte di “politica urbanistica più o meno espansiva” della città.

Non esiste alcuna confusione legislativa: la “disciplina dettata dal legislatore” in materia urbanistica “non è stata né abrogata né diversamente ‘perimetrata’ in ragione di specifiche caratteristiche dei singoli comuni”. Hanno dunque pienamente ragione i pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici che con il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano hanno aperto una “Mani pulite dell’urbanistica” contro quello che appare il nuovo “sacco di Milano”.

INCOSTITUZIONALE? La salva-grattacieli, se approvata dalla Camera e poi dal Senato, diventerà legge. Non senza problemi. Non riuscirà comunque a purificare tutte le contestazioni dei pm, che stanno cominciano a ipotizzare anche il reato di traffico d’influenze illecite, dopo aver segnalato che in tre casi i permessi del Comune, bloccati, si sono miracolosamente sbloccati quando è arrivato un progettista con buoni contatti dentro gli uffici comunali. In più c’è il pericolo che la legge 1987 possa essere incostituzionale. Perché non è una vera “interpretazione autentica” delle norme urbanistiche, ma una loro riscrittura. E perché interviene su indagini in corso, con un’evidente intromissione del potere legislativo ai danni del potere giudiziario.

I COMMENTI. Per ora, soddisfatto il sindaco Sala, soddisfatto il Pd, soddisfatte tutte le destre. Fuori dal coro soltanto il Movimento 5 Stelle e l’Alleanza verdi e sinistra. A Milano, uno dei pochi che si sono opposti al salva-Sala è il verde Carlo Monguzzi: “È la pagina più buia della sinistra milanese e italiana degli ultimi anni. Mai la sinistra aveva voluto e approvato condoni. Si potrà di nuovo costruire una torre di 21 piani a partire da un piccolo manufatto chiamandola ristrutturazione e autocertificandola con una Scia. Gioiscono i costruttori e i cementificatori, che potranno ancora pagare minori oneri a scapito del Comune. Ne escono devastati ambiente e legalità”.

Per il vicecapogruppo M5S alla Camera Agostino Santillo, molto attivo nel contrasto alla legge insieme alla senatrice milanese Elena Sironi, “è caduta ogni ipocrisia: destre e Pd stanno approvando una delle sanatorie più indegne della storia politica del nostro Paese. Un inciucione sconfortante. A braccetto, maggioranza e Pd hanno deciso di schierarsi dalla parte degli speculatori, dei funzionari comunali disinvolti e del sindaco Sala contro i giudici che fanno il loro lavoro e contro tutti i milanesi, ormai travolti da una cementificazione incontrollata”.

Anche per Angelo Bonelli, di Alleanza verdi sinistra, “si sta scrivendo una bruttissima pagina, con una sanatoria che incide su procedimenti penali in corso. Ma la cosa peggiore è che con questa legge quello che è stato fatto a Milano si potrà fare anche nel resto d’Italia. Questa norma non solo non salva Milano, ma condanna il resto d’Italia”.

Il rito ambrosiano è costato alla città 1,5 miliardi

Lo sta ripetendo da mesi il sindaco Giuseppe Sala: la legge salva-Milano è necessaria per superare il blocco dei cantieri e degli affari immobiliari in città, provocato dalle indagini della Procura. Lo ha spiegato con una cifra l’assessore Giancarlo Tancredi: “Stimiamo di perdere quest’anno 100 milioni di oneri d’urbanizzazione”.

Lo ha ribadito la presidente di Assimprendil Ance, Regina De Albertis (che non esclude di candidarsi a sindaca), denunciando “il clima d’incertezza che sta bloccando non solo le operazioni immobiliari in corso, ma anche gli investimenti nazionali e internazionali a Milano”. Lo ha proclamato il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini: “Ci sono oltre cento cantieri fermi a Milano, per investimenti stimati complessivamente 12 miliardi”. L’allarme per il blocco degli affari resta un argomento forte a favore della Salva-grattacieli. Ma è davvero così?

Secondo una previsione dell’assessore Tancredi, i fondi finanziari internazionali hanno investito a Milano 15 miliardi tra il 2014 e il 2018 e finiranno per investirne altri 13 dal 2019 al 2029, destinati a “sviluppare” 10 milioni di metri quadrati di città, diventata la prima metropoli in Europa per investimenti immobiliari, davanti a Monaco (10,8 miliardi) e Amsterdam (10,2 miliardi). A che prezzo, però, è diventata così “attrattiva”? Regole urbanistiche molto lasche, permessi facili e prezzi da saldo. È il “rito ambrosiano” all’opera, che ha trasformato Milano in un “paradiso fiscale” dell’immobiliare, dove costruire è facile e poco costoso.

Milano è diventata un luna park dell’immobiliare, città “premium” che attira investimenti, ma diventa sempre più difficile per i suoi abitanti: a causa del costo della vita e soprattutto dell’abitare, con i prezzi delle case aumentati in dieci anni del 40% per l’acquisto e del 43% per l’affitto, a fronte di salari cresciuti solo del 5,4%. Nella città un tempo industriale e creativa si è affermato il primato della rendita: “Il suo vantaggio competitivo si regge tutto sulla rendita e sul suolo”, secondo Elena Granata, docente del Politecnico. “Ed è impossibile mitigare i prezzi se il motore urbano gira solo a vantaggio dei costruttori. Ma attenzione: la città è un bene che si dissipa, persino gli stessi costruttori, una volta consumate le aree strategiche, andranno altrove”.

Ma Milano sta perdendo, per colpa della Procura, 100 milioni di oneri urbanistici, come dice Tancredi, e 12 miliardi d’investimenti immobiliari? I magistrati della Corte dei conti, che stanno facendo i loro calcoli, hanno una diversa opinione: sono gli uffici comunali a far perdere soldi alla città, chiedendo oneri d’urbanizzazione troppo bassi ai costruttori.

La prima verifica quantifica in 321 mila euro il danno arrecato alle casse comunali per una sola delle 150 (per ammissione del sindaco) operazioni edilizie simili in città: quella delle Park Towers di Crescenzago, per le quali gli uffici del Comune hanno chiesto 1,8 milioni (invece dei 2,1 milioni dovuti) per oneri d’urbanizzazione e costi di costruzione, poiché hanno considerato “ristrutturazione” di un fabbricato di un piano, da autorizzare con una semplice Scia, quella che invece era una nuova costruzione di due torri di 17 e 24 piani.

Per “colpa grave” dei dipendenti del Comune, sostengono i giudici finora intervenuti, che “intenzionalmente procuravano ai destinatari degli atti a loro firma un ingiusto vantaggio economico di rilevante gravità”. Moltiplicata per 150 cantieri simili, la città potrebbe aver perso almeno 4,5 milioni. Ma attenzione: se a questi mancati introiti si aggiungono anche quelli, ben più consistenti, delle mancate monetizzazioni degli standard (i pagamenti delle aree che gli operatori dovrebbero cedere al Comune per i servizi ai cittadini), il buco è destinato a diventare voragine.

Secondo i consulenti tecnici dei pm, infatti, per le Park Towers il Comune ha incassato 1,5 milioni invece dei 6 dovuti, facendo perdere in una sola operazione ben 4,5 milioni. Per le Residenze Lac, tre grattacieli al Parco delle cave, il Comune ha chiesto 1,4 milioni invece degli oltre 3 milioni dovuti. Per il Giardino Segreto Isola il buco sarebbe di oltre 1 milione. Per lo Scalo House (due torri e uno studentato) l’ammanco sarebbe di 4,3 milioni. Per il Bosconavigli i costruttori hanno sborsato solo 2,9 milioni. In sole cinque operazioni, dunque, il Comune avrebbe rinunciato a circa 15 milioni di euro.

Negli anni 2011-2023 (secondo un accesso agli atti dell’architetto e ingegnere Gabriele Mariani) il Comune “per monetizzazioni relative a interventi edilizi-urbanistici” ha incassato 440 milioni. Se davvero, come ritiene la Procura, sono un quarto del dovuto, l’incasso avrebbe dovuto essere 1,760 miliardi, con una perdita per il Comune di 1,320 miliardi.

Sommati ai 4,5 milioni persi per gli oneri e ai 200 di mancati incassi perché il Comune di Milano si è “dimenticato” per 15 anni di aggiornare gli oneri d’urbanizzazione (per legge dovrebbe farlo ogni tre anni), si arriva alla cifra di 1 miliardo e mezzo. Che ne dirà la Corte dei conti? Quanti alberi si sarebbero potuti piantare con questa cifra, quante piscine, quante palestre si sarebbero potute costruire, quanto si sarebbe potuto investire per migliorare il trasporto pubblico e la cultura?

Il Fatto quotidiano, 21 novembre 2024
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