CULTURE

Paolo Flores d’Arcais, 38 anni di MicroMega

Paolo Flores d’Arcais, 38 anni di MicroMega

Oggi, 26 settembre 2024, esce in libreria il nuovo numero di MicroMega. L’ultimo diretto da Paolo Flores d’Arcais, che lascia la guida della rivista a Cinzia Sciuto. Perché?

Da tempo avevo deciso che al compimento di 80 anni avrei passato la direzione a Cinzia. Se si crede in una cosa che si è creata e si è consapevoli che siamo esseri finiti, bisogna preparare la transizione generazionale. Ho anche capito che ci sono cose di cui capisco intellettualmente l’importanza, ma meno esistenzialmente. Capisco per esempio che già ora è cruciale la questione ecologica. Però esistenzialmente la sento meno, perché so che nel 2050 io non ci sarò. Così, dopo 38 anni e mezzo di MicroMega, passo la mano a Cinzia. Così non correrò il rischio di fare numeri di nostalgia, che può essere una bella cosa in piccole dosi, ma non basta per fare quello che è sempre stato anche uno strumento di impegno e di lotta culturale e civile.

Com’è nata, nel 1986, MicroMega?

Avevo concluso qualche anno prima, con una certa brutalità, l’esperienza del Centro Culturale Mondo Operario, che avevo fondato e diretto su richiesta di Bettino Craxi. Me ne andai quando Craxi cambiò politica e tornò ad allearsi con la Dc e il Psi passò, come scrissi sull’Europeo, “dal progetto alle poltrone”. Scrissi il progetto per una nuova rivista e cercai un editore, insieme a Giorgio Ruffolo. Non ti faccio il racconto di tutti i vari rifiuti, ma alla fine trovammo Carlo Caracciolo, allora editore dell’Espresso e di Repubblica, uomo pieno di curiosità e di voglia di sperimentare. Pose come condizione che in tre anni raggiungessimo le 4 mila copie. Il primo numero ne vendette più di 7 mila, i numeri successivi 5 o 6 mila, fino al 1992 di Mani pulite in cui raggiungevamo cifre record, e ai primi anni 2000 in cui alcuni numeri sfiorarono addirittura le 100 mila copie.

Era una rivista-libro, prima trimestrale e poi bimestrale. Un “mattone”.

Che era “un mattone” lo dissi fin dalla presentazione del primo numero: volevamo che fosse una rivista di riflessione e di approfondimento, con grossi saggi. Eugenio Scalfari, che era in prima fila, sussurrò che, come tutti i mattoni, sarebbe andato a fondo dopo i primi tre numeri. Al quarto numero, io e mia moglie Anna ci bevemmo una bottiglia di champagne.

Quali erano i punti essenziali del tuo progetto?

Il primo era dare voce al dissenso nel mondo comunista. Avevo molti legami con il dissenso in Polonia, in Cecoslovacchia, in Ungheria, in Russia. Questo ci mise in contrasto con il Pci, che anche con l’eurocomunismo di Enrico Berlinguer non spezzò del tutto i legami con l’Unione Sovietica. Ci occupavamo anche del dissenso in Cina e a Cuba. E questo non piaceva alla sinistra extraparlamentare e al Manifesto. Ho fatto grandi litigate, su questo punto, con Rossana Rossanda. Il secondo punto era il dialogo con il Pci. Sempre con un atteggiamento critico: da una parte non rompeva del tutto con l’Urss, dall’altra, era super-accomodante sulla politica economico-sociale e aveva perso ogni radicalità nell’impegno per l’eguaglianza sociale. In uno dei primi numeri dialogammo con Alessandro Natta, il successore di Berlinguer. Poi con Massimo D’Alema, che pretese non di migliorare lo stile delle sue dichiarazioni, ma di cambiare i contenuti della sua parte di dialogo (per esempio le critiche durissime all’allora segretario della Cgil Sergio Cofferati): uscimmo con delle pagine bianche. Il terzo punto, dopo il 1992 di Mani pulite e delle stragi di Capaci e via D’Amelio, è stato la difesa di Mani pulite e l’antimafia.

MicroMega è diventata allora “l’organo delle Procure” di Milano e Palermo, dei “giustizialisti”, dei “manettari”.

Così dicevano i nostri avversari. Li considero ancora oggi titoli di merito. Abbiamo dato grandissimo spazio ai magistrati di Milano e di Palermo, con molti di loro si sono stabiliti dei rapporti d’amicizia. Abbiamo difeso il meglio dell’Italia in quegli anni, l’Italia di Francesco Saverio Borrelli, di Antonino Caponnetto, di Gian Carlo Caselli, della giustizia davvero uguale per tutti.

MicroMega ha fatto della laicità una delle sue bandiere.

Siamo stati rigorosamente laici, anzi direi spesso esplicitamente atei. Ma questo non ci ha impedito di dialogare con la Chiesa, con vescovi e cardinali, da Dionigi Tettamanzi ad Angelo Scola, da Julián Herranz a Matteo Zuppi, e anche con un teologo che poi divenne papa, Joseph Ratzinger. 

In questi 38 anni e mezzo, ti sei fatto molti nemici. E MicroMega non ha fatto solo dibattito culturale, ma anche azione politica.

Tutti i nemici di Mani pulite hanno detestato MicroMega. Abbiamo avuto un ruolo cruciale anche nella candidatura a leader del centro-sinistra di Romano Prodi: nel 1995 gli domandai un saggio che potesse essere un suo programma di governo. Poi divenne un libro che in campagna elettorale vendette quasi 200 mila copie. Mi chiese di candidarmi con l’Ulivo nel 1996, io gli risposi che avrei accettato solo se mi avesse indicato come ministro della Giustizia. Ma aveva già scelto Giovanni Maria Flick. Gli dissi che avrebbe dovuto indicare lui la metà dei candidati, scelti dalla società civile: ma i partiti gliene lasciarono solo cinque su un migliaio.

Poi vennero i Girotondi.

Antefatto. Borrelli all’inaugurazione dell’anno giudiziario nel 2002 pronunciò il discorso del “Resistere, resistere, resistere, come su una irrinunciabile linea del Piave”. Nel numero speciale per i dieci anni di Mani pulite pubblicammo un dialogo tra lui e l’allora più importante scrittore italiano, Antonio Tabucchi. Poi ci fu una clamorosa marcia a Firenze contro il berlusconismo lanciata da due professori, Paul Ginsberg e Pancho Pardi. Infine il comizio del Pd in piazza Navona con la presenza di Francesco Rutelli, Massimo D’Alema e Piero Fassino, in cui fu incautamente data la parola a Nanni Moretti. Disse: “Con questi dirigenti non vinceremo mai” e consigliò di candidare Pancho Pardi. In questo clima, quando presentammo il numero speciale di MicroMega, in una manifestazione con l’aiuto di Emilia Cestelli dalla Chiesa e Simona Peverelli, arrivarono al Palavobis di Milano 15 mila persone e altre 30 mila restarono fuori. I Girotondi continuarono le loro manifestazioni. Il culmine fu la grande manifestazione del 14 settembre 2002 in piazza San Giovanni a Roma. Il nome lo diede mia moglie Anna mentre faceva gli spaghetti: “Una festa di protesta”. Arrivarono centinaia di migliaia di persone, fu una delle manifestazioni più imponenti del dopoguerra.

Una delusione, un’autocritica?

Non essere riusciti a organizzare quella sinistra sommersa su cui MicroMega aveva puntato fin dalla sua nascita. L’abbiamo lasciata disperdere, finché l’incazzatura della gente è stata sequestrata, a suo modo, dieci anni dopo, da Beppe Grillo. Il Vaffa al posto di Giustizia e libertà.

Il Fatto quotidiano, 26 settembre 2024
To Top