Tanto cemento per nulla. Per la Resistenza, un micro-museo inadatto alle esposizioni
di Gianni Barbacetto e Leonardo Bison /
La maledizione della Piramide ha contagiato anche quella disegnata da Herzog & De Meuron che dovrà ospitare, a Milano, il Museo Nazionale della Resistenza. Le prime due Piramidi che si affacciano su piazza Baiamonti sono state completate nel 2016 e ospitano la Fondazione Feltrinelli e la sede di Microsoft. La terza, simmetrica sull’altro lato della piazza, ha faticato a trovare un utilizzo, ha sollevato le proteste dei cittadini che volevano mantenere l’area a verde e salvare il clamoroso glicine che vi fiorisce ogni primavera. Poi, nel 2019, l’allora ministro della Cultura Dario Franceschini ha proposto al sindaco di Milano Giuseppe Sala di impiantarvi il Museo della Resistenza.
Un’opera i cui costi sono già lievitati da 18 a 24,5 milioni di euro, promessi dal ministero della Cultura. I lavori procedono a rilento, tra tagli di glicini e tigli e abbattimenti di tratti di Mura spagnole. Ormai l’inaugurazione è prevista non più per il 2024, neppure per il 2025, ma per il giugno 2026. E anche i costi continuano ad aumentare. Ma ora il cruccio maggiore è un altro: la Piramide era stata progettata per ospitare uffici e spazi commerciali e non è per nulla adatta a ospitare un museo.
Così l’esposizione sarà “ridotta” e “limitata”, nonostante la spesa monstre (8 mila euro a metro quadro) per realizzarla. A scriverlo non sono i critici del progetto, ma quelli che il museo lo stanno ideando, nelle pagine del progetto preliminare degli spazi espositivi. L’edificio si svilupperà su nove piani (sei in superficie e tre interrati), ma il museo occuperà solo tre piani, stretti e angolati, di circa 400 mq ciascuno, per una superficie espositiva totale di 1.012 mq.
Per fare un confronto con altri musei piuttosto piccoli, il museo dell’Ara Pacis a Roma occupa 4.500 mq; il Polo del 900 a Torino, altro museo legato alla Resistenza, ne impegna 8 mila. Nel documento si legge che i poveri progettisti hanno dovuto “tener conto dei vincoli dimensionali e morfologici dello spazio espositivo disponibile” che hanno imposto, nell’ordine: “lo sviluppo verticale del percorso con il conseguente frazionamento in tre parti di pari superficie lineare e volumetrica”; “il contenimento della comunicazione museale in ragione di uno spazio espositivo complessivamente limitato”; l’adeguamento del percorso “alla scarsa superficie espositiva verticale disponibile, data la presenza di pareti esterne vetrate”, optando per una morfologia ripetitiva e modulare, 26 moduli da 13,5 mq ciascuno.
E poi ancora, causa vetrate che circondano l’esposizione e spazi ridotti, “la rinuncia a oggetti, opere e dispositivi di medio-grandi dimensioni in ragione dell’altezza limitata degli spazi espositivi” e “la riduzione nella scelta di opere che richiedono particolari accortezze conservative, in particolare in relazione alla luce”.
Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto Ferruccio Parri, coinvolto fin dall’inizio nell’ideazione del museo, lo ha spiegato anche alle Commissioni consigliari: ancora non si sa che cosa sarà esposto – la progettazione è appena iniziata e i soldi per l’allestimento devono ancora essere stanziati – ma è chiaro che, dati gli “spazi limitati”, il museo sarà “essenziale, puntando su esperienze “immersive e semi immersive”, con mappe, monitor, video. E poi l’utilizzo di qualche vetrina, teche, cassettiere. Un micro-museo in un grande edificio. Ridotto anche lo spazio per l’archivio, nei sotterranei, per salvare un po’ di glicine.
Lo sviluppatore di tutto il progetto delle tre Piramidi era Coima. Ma la terza ha avuto la storia più travagliata. Dopo tre gare d’asta andate deserte, il Comune ha abbandonato il proposito di destinare l’area a funzioni terziarie e ha ripiegato sul museo. A questo punto, però, Coima è uscita dalla partita, non essendoci più i presupposti economici per finanziare l’operazione.
L’amministrazione ha chiesto a Coima “il mantenimento dell’impegno convenzionale riguardante l’onere della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva”. L’azienda di Manfredi Catella ha accettato “di mantenere l’impegno previsto in convenzione e di dedicarlo alla progettazione del Museo della Resistenza, quindi di proseguire con l’incarico allo Studio Herzog & De Meuron”.
Ma ha comunicato “di non volersi fare carico dei costi aggiuntivi di aggiornamento del progetto preliminare”, visto che “la necessità di aggiornamento è stata determinata dalla scelta dell’Amministrazione di realizzare un edificio a destinazione museale, operata a valle di una progettazione per funzioni terziarie”. A questo punto, sarà il Comune a pagare l’aggiornamento progettuale. Oltre alla direzione lavori (775.995,43 euro) e al collaudo (304.727), per un totale di oltre 1 milione.
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