Forza Italia secondo Dell’Utri. Il silenzio è d’oro e le amnesie del “Foglio”
Il silenzio è d’oro. Specialmente per Marcello Dell’Utri, che in proposito ha avuto ineguagliabili maestri, come si evince da una sentenza definitiva. Fa un’eccezione per i 30 anni dalla nascita di Forza Italia, di cui è stato il padre fondatore (“Anche Gianni Letta era contario”), e parla al Foglio. Ma solo per dire che continua a preferire il silenzio: lo hanno invitato, sì, alle celebrazioni dell’augusto trentennale (con apposita telefonata di Maurizio Gasparri), ma lui ha detto un no wittgensteiniano: “Che cosa vuole che si dica in una giornata come questa? Quali parole sarebbero adatte? Solo il silenzio. Io avrei organizzato una giornata di silenzio”.
Lo aveva insegnato anche all’amico Silvio, il più loquace dei leader politici, ma che pure, in una giornata di novembre del 2019 in cui avrebbe potuto fugare ogni ombra e spiegare i suoi rapporti politici e finanziari con gli amici palermitani dell’amico Marcello, preferì restare in silenzio, scandendo davanti ai magistrati la formula: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”.
Minimalista Dell’Utri, ieri, sulle pagine del quotidiano che si guarda bene dal ricordare la sua condanna definitiva per mafia. In passato, al Foglio aveva raccontato, ridacchiando loquace, la più agghiacciante delle barzellette del Cavaliere, la storiella (vera) del tiro al piattello di Arcore che disturbava il riposo domenicale di Silvio. A un certo punto, un piccolo incendio riportò il silenzio in villa. “Silvio”, aveva raccontato Dell’Utri, “chiama Vittorio Mangano e gli chiede: ‘Vittorio, ma che è successo al tiro al piattello?’. E quello, in palermitano, che sembrava uscito da un film su Cosa nostra: ‘Cortocircuito fu…’. Berlusconi si sganasciava dalle risate. La raccontava a chiunque”.
Questa volta invece Marcello è rimasto compìto e solenne. Che cosa resta del Cavaliere? “Le ceneri”. Che cosa avrebbe fatto per ricordare la nascita di Forza Italia? “Io avrei fatto una cosa breve. Di mezz’ora. Avrei letto dei pensieri del Cavaliere e detto: ‘Riflettiamo in silenzio’”.
Non sembra vedere un grande futuro per il partito che ha pensato per primo, prima di Silvio, chiamando il “consulente” Ezio Cartotto a ideare il progetto Botticelli. Oggi dice che dell’amico Silvio resta, più che la politica, l’azienda: “Resta un partito che vive nel suo nome e resta un’azienda che, questa sì, è saldamente in mano ai suoi figli. E funziona”. Il suo erede? Non è Antonio Tajani, ma semmai Giorgia Meloni.
Poi il Fondatore passa alle ammissioni. Berlusconi entrò in politica per farsi gli affari suoi? “Mi ricordo benissimo quando il Credito Italiano gli chiese di rientrare con il prestito. Capimmo che volevano fare con lui quello che già avevano fatto con Rizzoli. E allora reagimmo”. Forza Italia era un “partito azienda”? “Io davvero volevo fare un partito azienda, gli uomini di Publitalia a dirigerlo e il meglio del Paese mandato in Parlamento. Non ci sono riuscito”.
Poi gran finale con elogio hard della bocca chiusa, a proposito di due passioni a confronto: “Sa cosa ho fatto con parte del legato che mi ha lasciato Silvio? Ho comprato il manoscritto originale del Mastro Don Gesualdo di Verga”. Parte dei 30 milioni per comprare libri? Cosa avrebbe detto il Cavaliere? “Silvio faceva una battuta che non posso ripetere a proposito della mia passione per i libri, che era diversa dalla sua passione”. Ce la dica, la battuta: “Neanche sotto tortura”.