Che la vicenda dello stadio di San Siro si trasformasse nel Vietnam di Giuseppe Sala lo avevamo previsto. Oggi dobbiamo aggiungere che la sconfitta fa crescere nel sindaco l’arroganza, mentre sarebbe necessaria l’umiltà di riconoscere gli errori commessi per cercare di correggerli. Davanti ai consiglieri comunali, due giorni fa, Sala si è presentato in versione Marchese del Grillo (copyright del sindaco-ombra, Luigi Corbani): “Io sono io, e voi non siete un cazzo”.
Agli attoniti consiglieri (anche della sua maggioranza) ha detto: “Io so come va il mondo ed è una realtà che voi consiglieri comunali non arrivate a capire”. E ancora: “Da quando ho fatto politica, mi sono sentito profondamente ed esclusivamente politico, e so che la politica non può dettare sempre le regole. Se una azienda non vuole un prodotto, non se lo piglia”.
Il “prodotto” è lo stadio Meazza, che “l’azienda”, cioè il fondo Elliott/Red Bird che controlla il Milan, non vuole: ha da tempo proposto di abbatterlo per poter costruire un impianto nuovo e, facendo scattare la legge sugli stadi, avere in omaggio tanta volumetria da riempire di nuovo cemento San Siro, concludendo una convenientissima operazione non sportiva, ma immobiliare privata su terreni pubblici.
Un sindaco dovrebbe difendere il patrimonio pubblico (il Meazza, impianto comunale) e “fare politica”, cioè “dettare le regole” per perseguire il bene comune. Sala invece persegue evidentemente il bene di Paolo Scaroni, presidente del Milan, accetta la sua richiesta di distruggere lo stadio e vuole lasciargli costruire su terreni pubblici torri a uffici e centri commerciali per fargli rimettere in sesto i conti del club, che a quel punto il fondo proprietario potrà rivendere per fare, com’è suo mestiere, plusvalenza. Ma qualcuno potrebbe invece pensare che cos’è meglio per i cittadini, per i tifosi, per i milanesi?
Il marchese Sala del Grillo ha annunciato addirittura di voler fare ricorso contro la Soprintendenza che gli aveva ricordato (peraltro in risposta a una sua richiesta ispirata da Scaroni) che nel 2025 il secondo anello del Meazza compirà 70 anni, dunque scatterà automaticamente il vincolo che impedisce di abbatterlo.
Invece di gioire, come dovrebbe fare un sindaco a cui sta a cuore il bene comune, per l’aiuto che la Soprintendenza gli dà in difesa di un iconico patrimonio dei milanesi che è assurdo abbattere, il sindaco si schiera ancora una volta con Scaroni, sostenendo che quello imposto è un “vincolo assurdo” che provoca “un danno economico per il Comune e i contribuenti milanesi”, un “forte nocumento al valore patrimoniale e alla ricchezza del Comune di Milano e dei cittadini”. Ma il danno ai cittadini – patrimoniale e culturale – sarebbe l’abbattimento della loro “Scala del calcio”.
Quello che il sindaco annuncia sarebbe oltretutto un curioso ricorso scritto al futuro, contro una cosa che succederà solo tra due anni. Così cade come un pivello nel bluff di Milan e Inter, che dicono di voler abbandonare il Meazza e andare a costruire i loro stadi a San Donato e a Rozzano: un bluff, perché le due società non hanno i soldi necessari per fare l’operazione, senza le volumetrie concesse da Sala a San Siro.
Ma il sindaco lancia “un ultimatum” che sembra tanto invece un assist alle squadre: entro 120 giorni dovranno comunicare “quello che vogliono fare”. E tornare all’operazione immobiliare a San Siro. Oggi invece un vero sindaco avrebbe finalmente la possibilità di trattare da una posizione di forza con i due club, che ormai hanno diviso i loro destini immobiliari, e proporre la soluzione più semplice: ristrutturare il Meazza, magari costruendo spazi commerciali e di servizio al posto del terzo anello. È la soluzione perfetta per l’Inter, ammesso e non concesso che il Milan voglia andare davvero a San Donato.